Slataper, l'arpa, le lettere: Trieste celebra la grande storia di Elody Oblath
TRIESTE Non fu solo una delle “tre amiche” di Scipio Slataper e la vestale, insieme al marito Giani Stuparich, delle memorie del giovane triestino morto nello slancio irredentista della Prima guerra mondiale. A Elody Oblath “donna d’intelligenza fuori dall’ordinario e dotata di grande finezza artistica”, come la definì il critico Roberto Damiani introducendo una edizione de “Il mio Carso”, viene oggi riconosciuto l’autonomo valore della sua personalità di scrittrice e la sua profonda passione per la musica. Il merito è del Conservatorio Tartini, che ha scelto proprio l’otto marzo, Festa mondiale della donna, e il cinquantenario della morte della scrittrice, per intitolare a Elody Oblath la sala conferenze dell’istituto.
La cerimonia che si svolgerà lunedì 8 marzo alle 16.30 sarà anche l’occasione per ricordare come oltre un secolo fa la giovane Elody avesse frequentato quelle aule di istruzione musicale. Aveva seguito i corsi di arpa, strumento al quale rimase sempre affezionata, tanto da riprendere le lezioni, interrotte dopo un paio di anni di Conservatorio, dopo il matrimonio con Giani Stuparich. «L’apposizione di una targa in un luogo di cultura e alta formazione come il Conservatorio è particolarmente significativa», commenta Rossella Lucchini, presidente del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità del Conservatorio che promuove l’iniziativa. Alla cerimonia, con il presidente del Tartini, Lorenzo Capaldo e il direttore, maestro Roberto Turrin, parteciperà la nipote di Elody Oblath, Giusy Criscione dello Schiavo. «Conservo una foto di mia nonna che risale al 1909 in cui la si vede ritratta mentre suona l’arpa», dice Giusy Criscione, che di Elody ha un ricordo pieno di affetto. «Negli anni Sessanta ha vissuto diversi anni nella nostra casa di Roma; era vivace, disponibile e con la sua bella voce cantava molto bene i Lieder di Schubert in tedesco. Aveva una buona conoscenza musicale, come del resto tutta la famiglia», ricorda Criscione.
Gli Oblath facevano parte della ricca borghesia ebraica della Trieste di fine Ottocento. Il padre, Samuel, era ungherese. Era stato mandato a Trieste per ampliare il ramo commerciale della famiglia, compito che gli riuscì perfettamente, tanto che impiantò una ditta di caffè che arrivò ad avere fino a cento dipendenti. Samuel si maritò con una donna di origine veneta e ebbe cinque figli. Elody, la più piccola, nacque nel 1889. Sorella maggiore è Elsa che, sposata con il commerciante tedesco Fritz Dobra, farà della sua casa un punto di incontro del milieu culturale triestino dei primi anni del Novecento. Nel suo salotto si incontravano Leonor Fini, Bobi Bazlen, Gerti Frankl, Nello Stock. Elody invece apparteneva a una generazione diversa. Quella percorsa dagli ideali di italianità e dal furore esistenziale che portò molti di loro a festeggiare la guerra e a scrivere pagine intrise di fiammeggiante passione.
Un fervore autodistruttivo ed estetico, tra Nietzsche e D’Annunzio, che pervadeva molti giovani di allora, suicidi in giovane età, come Carlo Michelstaedter, che si sparò un colpo di pistola. E come Anna Pulitzer, che assieme a Luisa Carniel e alla stessa Elody, fu una delle “tre amiche” di Scipio Slataper. Anna, che sotto il nome di Gioietta ispirò la stesura de “Il mio Carso”, si tolse la vita nel 1910, a ventun’anni, sconvolta dalla relazione con Slataper. Le lettere che lo scrittore aveva inviato alle tre ragazze (“esaltate, insincere, spesso farneticanti”, secondo il giudizio tranchant di Damiani) saranno raccolte da Giani Stuparich nel volume “Alle tre amiche”. Elody invece consegnò al futuro un epistolario, “Lettere a Scipio”, pubblicato postumo nel 1979, di notevole qualità.
Nel 1915 Elody, di forti sentimenti italiani, si trasferì a Firenze seguendo gli amici fuggiti da Trieste e arruolati volontari nell'esercito del Regno. Seguirono anni di grandi attività per la causa italiana, vissuti a Firenze e Roma. Qui Elody conosce Amendola, Prezzolini, i vociani; frequenta Sibilla Aleramo, Amalia Bontempelli, Anita Mondolfo, con la quale instaura rapporti di amicizia. Ma questi stessi anni sono segnati da grandi lutti: il 3 dicembre 1915 muore Slataper, il 30 maggio del 1916 muore Carlo Stuparich, il 31 dello stesso mese il fratello Giani viene fatto prigioniero. Tornato dalla prigionia, Giani il 26 febbraio del 1919 sposa Elody. Inizia la nuova vita familiare, domestica e più tranquilla, completata dalla nascita di tre figli: Giovanna, Giordana, Giancarlo.
Nel 1928 Elody mette mano al riordino delle sue carte ed epistole con l'aiuto del marito, ma per vari motivi non porta mai a compimento il lavoro. Nel 1938 cominciano per Elody, di religione ebraica, i problemi legati alla campagna antisemita: si converte al cattolicesimo e inizia il suo processo di maturazione religiosa e mistica che verrà completato e approfondito anche con letture di filosofi orientali. Nell'agosto 1944 viene imprigionata con il marito e la suocera nella risiera di San Sabba; fortunatamente, grazie all’intervento del vescovo Santin e del prefetto Coceani, i tre vengono presto liberati. Di quella esperienza lascerà traccia in una poesia, “1944”, che si trova all’interno della raccolta “Notturni di Maggio”. Nel 1946 trovandosi la famiglia in difficoltà economiche si impiega nella Croce Rossa Italiana ed è costretta anche a vendere l’amata arpa. Nello stesso anno si separa da Giani. Nel 1951 si ammala di artrite reumatoide, malattia che la porterà alla completa immobilità. Gli ultimi anni della sua vita la trovano impegnata in una collaborazione con il Terzo programma della Rai, per il quale traduce nuovi autori tedeschi. Muore nella sua casa, a Trieste, il 6 settembre 1971. —
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