“Come eravamo”, immagini dall’Istria per restituire la memoria comune

Aperta al Museo di via Torino l’esposizione che raccoglie foto dal 1860 all’esodo, parte di un nascente archivio
Silvano Trieste 2019-12-20 IRCI, inaugurazione mostra
Silvano Trieste 2019-12-20 IRCI, inaugurazione mostra

TRIESTE Ritratti di donne, uomini, vecchi e bambini. Quasi tutti in bianco e nero. Ma anche oggetti di uso comune come collane, cinture, cineserie provenienti da oltremare, articoli d’argenteria o fasce per neonati, ricamate rigorosamente a mano. E ancora volti – tanti – resi perlopiù anonimi dal manto d’oblio che il tempo, passando, si getta alle spalle. Sono alcune testimonianze tangibili della vita quotidiana in Istria, Quarnero e Dalmazia tra Ottocento e Novecento, raccolte nella mostra “Come eravamo”, inaugurata ieri al Museo istriano di Trieste. Resterà aperta fino 10 febbraio (dal lunedì al venerdì 10-12.30 e 16-18.30, sabato e domenica dalle 10 alle 17). Ingresso libero.

Nelle intenzioni dell’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (Irci), l’esposizione rappresenta il primo passo verso la costituzione di un archivio della memoria, finalizzato a «ricostruire i tasselli dei tanti vissuti di quelle genti – spiega il presidente dell’Irci, Franco Degrassi – nel tentativo di restituire voce alle molte fotografie ancora senza nome».

L’allestimento è suddiviso idealmente in due macro-aree temporali. Nella sala che, entrando, si trova alla sinistra del visitatore, subito si incontrano due teche con al loro interno «foto d’epoca – racconta il direttore dell’Irci, Piero Delbello –. Si parte dal 1860. Unico denominatore comune, la provenienza: istriana, fiumana o dalmata. Nella maggior parte dei casi ne conosciamo soltanto la data e lo studio fotografico, che un tempo veniva sempre indicato sulle stampe. Talvolta sul retro c’è scritto un nome, ad esempio zio Nini, oppure un paio di righe: è il caso di quel Cosulich, lussiniano da Cardiff, morto nel 1890. Dopo che il Piccolo ne ha pubblicato la fotografia, una signora ci ha telefonato per dirci che in lui aveva riconosciuto il nonno».

Ci sono dei piranesi in gita a Grisignana, immortalati nel 1903. Una mamma emigrante che, nel 1936, dagli Stati Uniti ha spedito una foto di sé e della propria bambina ai parenti rimasti in Istria. E così via. Alcuni ritratti sono il frutto delle donazioni pervenute a seguito dell’appello lanciato via Facebook e Twitter dall’Irci, affinché le famiglie condividessero i propri ricordi. L’invito è tuttora valido, dal momento che la mostra è appunto un progetto in fieri, propedeutico alla creazione di un archivio: per il Giorno del Ricordo, a febbraio, ci sarà una seconda inaugurazione, in occasione della quale saranno esibite le testimonianze fotografiche e oggettistiche nel frattempo sopraggiunte.

Altri scatti sono stati invece rinvenuti nel Magazzino 18: ai quattro angoli della carta fotografica sono visibili i «fori attraverso cui le immagini erano state inchiodate all’interno delle casse contenenti le masserizie degli esuli – prosegue Delbello –. Da parte nostra è stata una precisa scelta appendere quelle foto alle pareti utilizzando gli stessi fori, senza incorniciarle o imbellettarle».

È passando nell’altra sala che si entra tuttavia nel vivo del Novecento. Lo scorrere del tempo si riflette nel progressivo mutare degli abiti e della moda, così come nelle tracce lasciate da alcuni precisi, drammatici eventi. Il dipinto che raffigura Geppino Micheletti ricorda della strage di Vergarolla, avvenuta il 18 agosto 1946: il dottor Micheletti soccorse e operò i feriti per ore e ore. Infine i materiali dell’esodo. Ricordi narrati in prima persona e messi per iscritto. Documenti, come la tessera di legittimazione emessa dall’Ente comunale di assistenza per conto della Prefettura di Trieste, in cui si riconosce a un signor Filippi lo status di profugo. E ancora una volta fotografie, scattate nei campi profughi oppure nei momenti che li hanno preceduti, con le persone intente a caricare i propri averi sui mezzi di trasporto. –
 

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