Trieste, il Teatro Verdi incassa l’ok ai conti da Roma e si rimette all’opera
«Speriamo che non ci siano sorprese da parte del Fus (il Fondo unico dello spettacolo, ndr). Abbiamo fatto un passo importante per la messa in sicurezza del Verdi». Stefano Pace, sovrintendente della Fondazione Teatro lirico Giuseppe Verdi, non abbandona la prudenza dopo la buona notizia arrivata da Roma riguardo l’approvazione dell’integrazione del piano di risanamento per il triennio 2016-2018. «Siamo stati i primi a ottenere questo risultato superando l’esame a pieni voti. Una soddisfazione doppia visto che si tratta di un piano fatto in casa».
Il teatro è fuori pericolo? Può dirsi scongiurato il declassamento da Fondazione lirica a Teatro di tradizione previsto per chi non raggiunge il pareggio nel 2019?
Il piano è impostato per arrivare sempre al pareggio del bilancio. Nel 2016 abbiamo persino chiuso in positivo. C’è però sempre un dato aleatorio, che è quello del Fus. Il fatto che abbiamo il piano di risanamento approvato non ci mette totalmente al riparo da eventuali tagli del Fus.
Come è successo l’anno scorso?
Il primo piano era basato su un contributo dello Stato di circa 11 milioni. Nel 2015 il contributo è stato di nove milioni e 166mila euro e nel 2016 di otto milioni e 750mila. Speriamo che quest’anno il taglio non si ripeta.
L’ultima stagione ha registrato per il secondo anno un incremento di pubblico del 17%.
Al di là delle cifre, c’è stato un ritorno di fiamma e di amore per il nostro teatro.
Come sta andando la campagna abbonamenti di quest’anno?
Più della metà degli abbonamenti sono stati riconfermati. Inoltre abbiamo un 4% di nuovi abbonamenti. E non nelle categorie più economiche.
Sul fronte dell’Art Bonus Trieste arranca rispetto alle altre fondazione liriche...
Nell’ultimo bilancio abbiamo avuto 702mila euro di donazioni dai privati. Nel 2015 erano 350mila. In due anni sono raddoppiate. Certo siamo partiti dal basso. I soldi non cascano da soli. C’è un lavoro da fare nella promozione del teatro. Siamo a metà del cammino.
Il sindaco Dipiazza, alla presentazione della nuova stagione, ha promesso di trovare personalmente uno sponsor di peso per il Verdi.
Il sindaco ci sta lavorando. Spero che questo avvenga. È anche vero che il nostro non è un territorio facile. Non siamo la Scala.
A proposito di territorio, è stato risolto l’incidente con Udine che ha messo a rischio la Tosca?
Il Verdi non ha la capacità di portare in giro spettacoli in perdita. Alla fine ci siamo messi intorno al tavolo e abbiamo trovato una soluzione. A Udine porteremo quattro titoli la prossima stagione. Così pure a Pordenone.
L’accordo con il Teatro nazionale di Maribor offre a Trieste il coro per i Carmina Burana, l’allestimento per il Trovatore di Verdi e il balletto Giselle. In cambio cosa esporta Trieste a Maribor?
Noi esportiamo un concerto a Maribor in febbraio. Inoltre abbiamo in essere una discussione per la coproduzione di un’opera lirica di cui non posso ancora rivelare il titolo.
Non proprio uno scambio alla pari?
È un rapporto in fase di avvio. In questo senso, proprio per ragioni di programmazione, siamo noi che importiamo da Maribor. Un analogo discorso è stato avviato con Zagabria e Fiume.
Da Maribor arriva pure il balletto Romeo e Giulietta annunciato dal Rossetti. Una strana concorrenza.
Non è un problema. Questo Romeo e Giulietta ha una coreografia contemporanea. Non è un balletto classico. Con Franco Però c’è l’accordo a non pestarci i piedi in città.
Quest’anno il Verdi è tornato a San Giusto con tre concerti. È pensabile il ritorno dell’opera o dell’operetta?
Per il Verdi direi di no. Non ci sono le condizioni. Portare le scenografie dentro il Castello costa troppo.
Nessun speranza quindi di rinascita per il Festival dell’operetta?
Un Festival dell’operetta fatto bene non costa meno di cinque o sei milioni di euro. L’operetta è un genere molto particolare. Non lo voglio seppellire, ma è anche vero che è un tipo di spettacolo che per le giovani generazioni è stato rimpiazzato dal musical.
Non è stata mai spiegata la sparizione della figura di Gianluigi Gelmetti come direttore onorario del Verdi.
C’erano delle diverse visioni sugli indirizzi artistici del teatro rispetto alle esigenze del maestro. Alla fine ci siamo semplicemente allontanati in maniera pacifica e consensuale.
Al Verdi non c’è un direttore principale. È una scelta?
Al momento non siamo in grado di poterlo fare. Inoltre legarsi a una figura in un momento di trasformazione può essere rischioso e costrittivo.
Il coro del Verdi è sottodimensionato da anni nell’organico.
Non è un problema solo numerico, ma anche di età. Una voce giovane rende più di un voce anziana. Noi abbiamo uno sbilanciamento nel coro: ci sono più uomini che donne. E il piano di risanamento non ci consente il turn over.
L’apertura della stagione sinfonica con Ezio Bosso sembra un omaggio a Sanremo?
Diciamo che quest’anno ci siamo concessi un fuori pista. È un artista che ci intriga. Non sarà una costante.
La prossima stagione non è stata accolta con entusiasmo da tutti i melomani. Una stagione lirica fotocopia con titoli già sentiti e allestimenti già visti negli ultimi anni.
I melomani devono considerare che le nuove generazioni non hanno mai visto molti di questi spettacoli. So che che c’è gente che reclama Katia Kabanova, la Fanciulla del West o la Wally...
Qualcuno anche il Guglielmo Tell...
Il Guglielmo Tell è improponibile. Comunque il giorno che farò tutti questi titoli vuol dire che voglio rovinare il teatro.
Ma che senso ha riproporre la Traviata degli specchi vista a Trieste nel 2014?
La Traviata è un titolo che riempie. Poi il teatro aveva un accordo per la riproduzione di quella Traviata per due volte. Venezia ne fa 46 all’anno ed è la stessa Traviata tutti gli anni da 20 anni a questa parte. C’è il problema del pubblico.
In che senso?
Il pubblico sceglie di venire o non venire a teatro. Quando è stato portato a Trieste il Das Liebesverbot di Wagner, per la prima volta in Italia, ha fatto una media di 720 spettatori su una sala da 1300 posti. Deludente.
Due titoli per far sognare i melomani...
Boris Godunov e Don Carlo sono i miei sogni proibiti. Mi piacerebbe fare una Lulu.
Cosa consiglia della prossima stagione?
La Lucia di Lammermoor è una nostra produzione, ma il cast è di quelli che si possono trovare alla Scala o all’Opera di Parigi. Inoltre nell’Italiana in Algeri abbiamo René Barbara, il migliore tenore assoluto in quel repertorio.
Riproduzione riservata © Il Piccolo