Nuovo governo, parla Paolo Rossi: «Artisti ignorati troppo a lungo: difficile sperare in chi verrà»

La disillusione del settore dello spettacolo descritta dal regista monfalconese: «Nuovo o vecchio non cambia: a chi sta a Roma i problemi di questo mondo non interessano» 
Paolo Rossi
Paolo Rossi

TRIESTE «Ci sono teatranti che guadagnano nel lasciare i teatri chiusi. Risparmiano sulle spese, prendono le sovvenzioni del governo e le usano per pagare i debiti pregressi, senza più dover dare uno stipendio ai loro lavoratori. Nel mio settore è una cosa risaputa. Anche se arrivassero, quei fondi, a chi andrebbero?». L’attore e regista di Monfalcone Paolo Rossi è scettico sulla possibilità che un faccia a faccia col mondo della politica possa alleviare i dolori della categoria dei lavoratori dello spettacolo messa a dura prova dalla pandemia.

Nemmeno la frontiera di un nuovo esecutivo riesce a darle qualche speranza?

«Nuovo o vecchio che sia, fa lo stesso. Io con chi è al Governo non parlo. Non gli ho chiesto niente prima e continuo a non chiedere nulla adesso. Se mi arriveranno dei soldi, li prenderò. Ma, per una questione di dignità, né io né la mia compagnia chiederemo qualcosa».

Come mai?

«Hanno nominato chiunque nei loro comunicati: le palestre, i centri commerciali, i ristoranti, le sale da scommesse. Noi attori non siamo stati nominati neanche una volta. Quindi non capisco perché se una persona mi ignora, io dovrei andare a cercarla, suonare al suo campanello. Si tratta di rispetto».

Aprire un dialogo sarebbe anche un modo per sottoporre i problemi della categoria degli artisti...

«Sottoporre i problemi? Pensavo che le persone al Governo fossero quelle che dovevano risolvermeli, i problemi e non quelle a cui io dovevo spiegarli. Il punto è che, al momento, esistono due tipi di teatranti: quelli che vanno a chiedere qualcosa e quelli che si arrangiano da soli. Io, finora, ho fatto in modo di arrangiarmi da solo. Ho lavorato, sempre rispettando le norme sanitarie, nei cortili e nelle piazze, ovunque fosse possibile. Ho fatto a meno del loro aiuto e così continuerò a fare. Se mi arriva qualcosa la prendo, accettando le occasioni di lavoro come è successo con il Teatro Stabile di Bolzano o col Miela di Trieste. Ma non scenderò in una delle tante polemiche sterili che ho sentito, a discutere di sicurezza e di numeri di contagi nei teatri, mai».

Come vede la possibile riconferma di Dario Franceschini al dicastero della Cultura?

«Sono problemi loro. A me non cambia nulla, questo è il mio punto di vista. Ma al futuro ministro vorrei ricordare almeno una cosa: che il teatro resta la casa madre dell’attore, è vero. Ma l’attore, per recitare, non ha bisogno del teatro. Può e deve farlo ovunque». —



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