Museo reinventato con 50mila euro

I costi della nuova struttura di via Tominz dove hanno lavorato anche ex operai Sertubi e Duke
Di Gabriella Ziani

Come ha fatto un Comune “al verde” per vincoli finanziari a riorganizzare il Museo di storia naturale appena re-inaugurato? Quanto è costato l’allestimento? Chi ha lavorato? Che cosa resta da fare? Come andrà in condominio con il “de Henriquez” (stessa ex caserma) che s’inaugura il 28 giugno, fra un mese?

Ecco i numeri di via Tominz 4, retro di via Cumano, museo «che periferico è, e tale resterà» come dicono anche i comunicati ufficiali, ma forse senza far conto del fatto che il turista ben sollecitato, e da cose interessanti, consulta mappe, cammina, cerca mezzi pubblici (l’importante è non deluderlo).

Dunque di “riscritto” con pannelli didascalici neri, nuova illuminazione e pareti dipinte c’è una porzione di quasi 500 metri quadrati, la metà del primo piano, in un museo che si sviluppa su poco meno di 3000 metri quadrati (e avrebbe bisogno di almeno 4000 com’era nel progetto originale): storia dell’evoluzione dell’uomo, squali e cetacei, e “pachidermi” (i giganti), sono le parti nuove. Il costo: 40 mila euro per le ditte esterne e 10 mila per acquisto di strutture e materiali, dunque operazione da 50 mila euro. Ma senza contare il lavoro dei dipendenti comunali, «fitto e intenso per due anni interi - racconta il direttore dei Musei scientifici, Nicola Bressi -, il nostro settore ha 60 persone, una decina, dall’Orto botanico, dall’Aquario, dal Museo del mare, ha collaborato quasi quotidianamente portando anche utilissime idee».

Il contributo più particolare ha però un altro nome. Quattro “lavoratori socialmente utili” hanno messo mano anche ai restauri di pesci e ossi di balena, imparando in fretta le tecniche. Persone che hanno clamorosamente perso il loro lavoro, a Trieste, per chiusura di fabbriche. «Ex operai della Duke e della Sertubi - dice ammirato Bressi -, si sono appassionati al museo, e si sono reinventati un mestiere con grande capacità, e in più sono stati preziosi come “critici” e consiglieri esterni pieni di freschezza nuova. Il nostro “target” - prosegue il direttore - non dev’essere il professore universitario che già sa, ma la famiglia del “metalmeccanico di Klagenfurt”... E se dico metalmeccanico è con pieno rispetto, era il lavoro di mio padre».

L’entusiasmo in Bressi è contagioso, i progetti nuovi sono già chiari in mente. Ma non ci sono spazi. Nè soldi. Altri numeri: luce, acqua, gas e assicurazioni costano in via Tominz 200 mila euro all’anno, è esposto ora solo un quarto del patrimonio calcolato in 2 milioni di pezzi. Una intera sezione di animali è visibile solo col trucco degli oblò ritagliati in una parete di cartongesso: non c’è luogo dove allestire. I magazzini stessi, aggiunge il direttore, sono pieni. Ma il lavoro proseguirà prima di tutto per un habitat migliore da assegnare a uno dei pezzi più importanti, il dinosauro Antonio. Poi per ospitare un’altra mostra in estate (gratuita quella fotografica di Simone Sbaraglia aperta adesso). E infine per un’operazione di forte impatto. Possibile solo se si sbloccheranno i famosi fondi Pisus. Con cui restaurare un’altra palazzina della ex caserma che al “de Henriquez” non servirà. E dove mettere, con accettabili criteri, una delle più conturbanti collezioni, oggi nascoste: i feti umani in vaso di formalina.

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