Lo spazio di Anna Gregorio, leader di talento “per caso” tra astrofisica e impresa
È passato un anno esatto da quando, con sua grande sorpresa, si è ritrovata citata sulle pagine di Forbes tra le “100 donne italiane di successo”. Convocata dal direttore del dipartimento di Fisica dell’Università di Trieste, che le ha chiesto perché non l’avesse informato di questa meta prestigiosa, l’astrofisica triestina Anna Gregorio ha confessato candidamente che non se n’era proprio accorta: la mail inviata dalla rivista per avvisarla della vittoria era rimasta intonsa sulla sua bacheca. «D’altra parte mi capita di incontrare le persone e non riconoscerle: ho sempre avuto la testa tra le nuvole, la testa per intrigo, scherza la scienziata. Ironica e modesta, spontanea, appassionata e tenace: una leader può essere anche così. Nella scienza e nell’imprenditoria come nello sport, che pratica fin da ragazzina, la professoressa Anna Gregorio è abituata a sudarsi i propri traguardi. Serve disciplina, in ogni circostanza. Nella sua carriera, che si è giocata in un ambiente prettamente maschile come lo spazio, ha partecipato da leader alla missione europea Planck e dirige la spin off universitaria Picosats. Da un semestre coordina il Comitato spazio, che riunisce i ricercatori dell’ateneo triestino che si occupano, da differenti prospettive, di studi nel settore spaziale. Domani Gregorio interverrà online all’inaugurazione del CLab dell’università.
Professoressa Gregorio, com’è nata la sua passione per l’astrofisica?
Sono appassionata di calcolo fin da quand’ero piccola. Alle elementari la maestra di matematica mi proibiva di rispondere alle domande per far partecipare anche i miei compagni, al ristorante con amici sono sempre quella incaricata di dividere il conto. Ho una mente matematica da sempre.
Ha avuto qualche esempio femminile che l’ha ispirata nel suo percorso?
Da piccola vivevo vicino all’Osservatorio astronomico: ho visto spesso Margherita Hack bazzicare da quelle parti. Siamo sempre state fisicamente e silenziosamente vicine: quando vinsi il concorso all’università lei era appena andata in pensione e tuttora in Osservatorio divido con un collega quello che un tempo fu il suo ufficio. Sulla porta abbiamo lasciato la targhetta col suo nome.
Esempi maschili?
Ho un papà spirituale, Luigi Rolandi, il mio relatore di tesi. Era giovane e sportivo, si creò subito un feeling. Ero ancora una ragazzina, i miei genitori e il mio fidanzato, poi mio marito, mi tenevano come in una teca di cristallo. Luigi mi ha fatto crescere, sia sulla terraferma che in mare: siamo andati in barca a vela tutti assieme.
Qual è stata l’esperienza professionale determinante per la sua carriera?
La partecipazione alla missione europea Planck. Mi sono trovata a guidare il gruppo sperimentale responsabile della gestione dello strumento a bordo del satellite. Per alcuni anni ho vissuto per questa missione: mi ha consentito di imparare moltissimo, mi ha dato grandi soddisfazioni e visibilità.
Come ci si sente a dirigere un gruppo di uomini?
Quando hanno visto che il loro coordinatore era femmina alcuni mi hanno guardato un po’ straniti, qualcuno mi ha fatto un po’ di guerra. Ma tutto è passato quando si sono resi conto che ero disposta a dedicare anima e corpo. Per la mia sensibilità era fondamentale avere un gruppo affiatato: ero la prima a fare le notti per mandare avanti il progetto. L’esempio è stato contagioso e alla fine siamo diventati tutti amici.
Avrebbe mai pensato di diventare imprenditrice?
No, anche se sono figlia di imprenditori. Ma dopo Planck avevo raggiunto il massimo nella mia attività scientifica, ma dal punto di vista della carriera accademica ero un po’ delusa. Quando Salvatore Dore e Cristiano Piani di UniTs mi hanno proposto di costruire una spin off ho deciso di mettermi in gioco.
Oggi il comparto spazio è più aperto alle donne?
Si sta aprendo e in questi ultimi anni si parla e si scrive tanto su donne imprenditrici e scienziate. L’esempio di Samantha Cristoforetti ci dice che forse abbiamo più donne astronauta rispetto a un tempo, ma la parità è un’altra cosa: la raggiungeremo solo quando un’astronauta non verrà più vista come un caso eccezionale, ma come la normalità. —
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