L’erotismo di Auguste Rodin imprigionato nel marmo
Rodin-Michelangelo. Il binomio è obbligatorio. Forse nessuno scultore fu più vicino al Buonarroti. Soprattutto dopo il viaggio in Italia (1875), con la scoperta dal vivo dell’arte michelangiolesca, Rodin si incanala nel solco del grandioso. Ma già una decina di anni prima, quando aveva presentato l’”Uomo dal naso rotto” al Salon (che glielo aveva respinto), Rodin era “michelangiolesco”. Questa opera - 18 mesi di lavoro - fu poi sbozzata dal collaboratore Léon Fourquet e diventò il “ritratto di un filosofo antico”, molto michelangiolesco, in verità.
Imponente personaggio di aspetto aristocratico, Auguste Rodin (1840-1917) raggiunse grande fama già in vita, ritenuto il più rappresentativo artista francese tra Otto e Novecento. Il suo studio, il prestigioso hotel Biron, era frequentato da artisti, politici ed esponenti del bel mondo, di molti dei quali lasciò il ritratto: Victor Hugo, lady Sackville, Pierre Puvis de Chavanne, madame Roll…) tutti presenti nella grande mostra, nata dalla collaborazione con il Musée Rodin di Parigi, che Milano dedica a Rodin. Si tratta di una prima assoluta. Mai, al di fuori del Museo parigino, si era organizzato un momento di studio tanto vasto dedicato alla sola produzione marmorea.
La pietra è, per Rodin, elemento vitale. È anche il suo più importante rapporto con Michelangelo. Con una variante essenziale: Michelangelo abbozza e non finisce, ma le sue forme esplodono dal marmo, sono forze della natura che sprigionano vita. Rodin abbozza e non finisce, ma la carne che egli fa nascere dalla pietra è intrisa di erotismo ripiegato su se stesso. Quando leviga corpi e visi, li trattiene quasi con pudore. È forse gelosia? Esigenza di rinnovamento, per quanto non realizzato? O l’ultima espressione esasperata della cultura romantica?
La mostra a Palazzo Reale, nella immensa sala delle Cariatidi, espone 62 sculture sistemate con ordine geometrico, appena separate da velari, come in uno smisurato atelier. Al centro, il “Bacio” , la celeberrima coppia di innamorati allacciati in un abbraccio trascendentale. Anche quest’opera, alta quasi due metri, porta il nome di uno sbozzatore: Jean Turcan. La sbozzatura è sempre stata tema di aspre controversie sull’arte di Rodin. Gli hanno imputato di produrre innumerevoli approssimativi bozzetti in terracotta poi realizzati nel marmo dai collaboratori. Allora chi, l’artista?
E incombe un’altra ombra. Quella di Camille Claudel, allieva di fulgida bellezza e poi (per 15 anni) amante, artista incomparabile da molti ritenuta pari (o più grande ?) di lui. Le fattezze di Camille affiorano in molti visi di Rodin (la incantevole Aurora, ritratto incomparabile che affiora dal blocco di marmo grezzo e pare sorgere dall’acqua verso il nuovo giorno. O la piccola fata delle acque, gesso sigillato in una coppa antica…). Camille, l’indimenticabile. Ma una giovane donna con l’audacia di scolpire come un uomo creava problemi, in una società di fine ’800. Dissero che era “strana”. Rodin, la madre e il fratello di lei, il celebre cattolicissimo drammaturgo Paul, ritennero più dignitoso rinchiuderla in un manicomio e lì lasciarla languire per quarant’anni. Come molti grandi uomini, Rodin scelse per compagna una mite popolana, la lavandaia Rose Beuret che poco prima di morire sposò. Con lei, meno problemi.
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