La scure della crisi: baguette dimezzata nel giro di sette anni

Dai 125 del 2006 i panifici scesi a 50. Jerian: giù i consumi, meno attenzione alla qualità, concorrenza d’oltreconfine
Foto Bruni 08.11.13 Panificio di Trieste
Foto Bruni 08.11.13 Panificio di Trieste

Era inevitabile che prima o poi accadesse. La scure della crisi economica che si è abbattuta su ogni genere di consumo ha intaccato anche un alimento primario e fondamentale come il pane. Un bene che sembrava inattaccabile e intoccabile e che invece è stato colpito da un evidente crollo dei consumi, scesi negli ultimi tempi ai minimi storici. Non fa eccezione Trieste, dove un dato su tutti fotografa al meglio la situazione: dal 2006 a oggi il numero dei panifici in città si è più che dimezzato, passando da 125 a 50. «Stiamo vivendo un momento economico drammatico - spiega Edvino Jerian, presidente regionale unione panificatori -. Il consumo del pane anche nel nostro territorio è calato vistosamente, in quanto con la crisi si tende a risparmiare sui beni che si comprano ogni giorno. Se da un lato c'è una diminuzione degli sprechi, dall'altro si evidenzia una minore attenzione alla qualità del prodotto: il consumatore punta a un risparmio globale della spesa alimentare affidandosi alle offerte della grande distribuzione, pane compreso. Questo penalizza i piccoli panifici rionali che già devono fare i conti con costi fissi molti alti e con una tassazione esasperata, peraltro in un'area dove è molto forte la concorrenza d'oltre confine. L'unica via di uscita è quella di continuare a puntare sulla qualità e l'amministrazione regionale, la prima in Italia, ci è venuta incontro con l'approvazione di una legge che definisce il concetto di pane fresco, quello prodotto nelle 24 ore, e del panificio di qualità, al cui interno viene elaborata tutta la filiera del prodotto con determinate caratteristiche di certificazione».

Concetti ripresi da Roberto Cadenaro, presente in città da oltre 50 anni, oggi con tre punti vendita. «Siamo di fronte a una crisi evidente in cui è palpabile anche una certa paura psicologica che colpisce il consumatore - precisa Cadenaro -. Viviamo in una città di anziani e di pensionati che devono prestare attenzione a ogni centesimo che spendono e non possono più permettersi di buttare via nulla, e tutto questo ha portato a un pesante calo delle vendite e dei consumi del pane. C'è chi preferisce mettere da parte la qualità affidandosi ai supermercati, anche quelli della Slovenia, dove assistiamo a una concorrenza spietata e molte volte sleale; e c'è però anche chi non rinuncia al pane di qualità, ma inevitabilmente è costretto a ridurre la quantità acquistata. A questo è doveroso aggiungere come oggi sia cambiato lo stile di vita, con ritmi quotidiani che portano a consumare pasti veloci fuori casa e questo comporta in generale un minor consumo di pane».

Un mix di situazioni dunque, confermato anche da Laura Sircelli, che insieme al marito Roberto porta avanti l'attività di famiglia fondata nel 1908. «Siamo di fronte a un calo costante dei consumi del pane che è iniziato già da parecchio tempo e si è acuito negli ultimi anni - spiegano -. Le persone, soprattutto quelle più anziane, spendono di meno e anche mangiano di meno: il pane una volta era un simbolo nella tavola del consumatore, mentre adesso ha perso il proprio valore anche perché esistono molti alimenti alternativi. In modo lento ma inesorabile, abbiamo assistito a un deciso cambio nelle abitudini: oggi la gente compra sempre di più il pane comune che costa di meno e rinuncia ad un prodotto più ricco ed elaborato».

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