Il cibo, questo sconosciuto (a scuola)
Questo è l'intervento che il triestino Andrea Segrè, professore ordinario di Politica agraria internazionale, Università di Bologna e presidente Comitato tecnico scientifico del Piano nazionale prevenzione rifiuti e spreco alimentare, Ministero dell’Ambiente, autore de “L’oro nel piatto” (Einaudi 2015), terrà sabato 26 settembre, alle 17, a Trieste Next, nell'area Talk, gazebo Talk, per l'appuntamento "Vivere a spreco zero".
Cosa direbbe oggi il maestro Manzi su come viene “trattato” il cibo a scuola e in tv? Probabilmente si stupirebbe nel constatare che l’educazione alimentare non rientra nei programmi scolastici e che gli oltre 70 format televisivi che girano nei canali televisivi sono perlopiù competizioni culinarie, molto virtuali e poco virtuose. Nell’anno di Expo “Nutrire il pianeta” il cibo è al centro del mondo, ma il mondo del cibo non riesce a dare risposte concrete ai problemi alimentari del pianeta. E nell’anno scolastico di Expo e della #buonascuola pare una contraddizione in termini che l’educazione alimentare non sia individuata come materia autonoma di insegnamento, o perlomeno come materia di approfondimento nei programmi e nel planning istituzionale dei corsi.
Sul pianeta è evidente l’involuzione legata al cibo e alla sua cultura: una parte di mondo cerca di mangiare perché ha fame, l’altra si ingegna a non mangiare per dimagrire. Non più, tuttavia, in una suddivisione classica fra Paesi ricchi e sazi e Paesi poveri e affamati. No, queste equazioni non funzionano più. I dati e i luoghi parlano chiaro: un miliardo di sotto e denutriti, quasi il doppio di sovrappeso e obesi ben distribuiti nei quattro continenti. In somma – e questo il denominatore comune – quasi metà della popolazione mondiale mangia troppo o troppo poco. È dunque malnutrita e, almeno in parte, pure maleducata dal punto di vista alimentare. Con tutte le relative conseguenze sulla salute, l’ambiente, l’economia, la società.
Non se la passa meglio il Belpaese: la nostra (una volta forte) cultura alimentare sembra essere diventata estranea a se stessa, alle pratiche alimentari quotidiane che oggi sembrano lontanissime e che solo qualche decennio addietro erano inserite in un sistema codificato: le stagioni, il lavoro, il piatto domestico, il ceto sociale, la religione, le ricette, il territorio, la produzione, il genere, le feste… Tutto era collegato e collegabile, ripetuto e ripetitivo, e anche rassicurante dal punto di vista educativo.
Da allora, le cose sono molto cambiate. Il cibo ha progressivamente perso i suoi riferimenti fondamentali e codificati nel tempo, di pari passo con l’evoluzione della famiglia e della comunità in cui viviamo. Il disorientamento è palese. Per questo è fondamentale (ri)partire dall’educazione alimentare, anche e soprattutto nelle scuole. Con il ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti avevamo lanciato un forte appello in questa direzione in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente 2013. E altre voci autorevoli si erano unite alla nostra, quella della scrittrice Susanna Tamaro, per esempio. Ma salvo iniziative estemporanee legate alla buona volonta’ degli insegnanti, la #buonascuola ancora non ha abbracciato l’educazione alimentare in via organica e formale.
Invece dovremmo educare, dal latino ex-ducere “tirare fuori”, anzichè “mettere dentro” la pancia cibi cattivi o “inculcare” nutrienti dannosi. Dobbiamo appunto tirare fuori il meglio del cibo, il suo valore. Ecco perché lo spreco alimentare, di cui tanto si parla oggi, rappresenta una prospettiva fondamentale: se sprechi il cibo vuol dire che non gli dai valore. Dobbiamo restituirgli il valore che merita. Del resto, gli alimenti devono soddisfare un bisogno fondamentale dell’uomo, non un desiderio. Alimentarsi bene, sia dal punto di vista quantitativo (sufficiente) che qualitativo (sano, nutriente), è una necessità. Compito dell’educazione alimentare è “tirare fuori” la consapevolezza di questa necessità per far comprendere che si tratta di un valore e di un diritto, creando una barriera all’onda che entra dall’esterno: la pubblicità, il marketing, le influenze sociali, le mode, gli chef che spadellano in tv.
Non è un caso che siano i più poveri culturalmente ed economicamente a soffrire delle patologie legati alla malnutrizione: mangiare male, troppo poco ma anche troppo. Alimentarmente parlando siamo dei maleducati. Adottare comportamenti alimentari sani, lavorare sulla qualità degli alimenti, far conoscere il funzionamento del sistema agroalimentare, promuovere forme di prevenzione contro lo spreco di cibo. Sono, questi, soltanto alcuni disordinati paragrafi di un più vasto libro di educazione alimentare (poi ambientale e civica). Per scriverlo e poi insegnarlo a scuola, “non è mai troppo tardi”.
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