«Dinosauri, passione nata collezionando i fossili del Carso»
C'era una volta un geologo con la passione del collezionismo e una montagna di fossili perfettamente conservati. Un giorno lo studioso, «barcolano doc» come si definisce, decise di licenziarsi dall'Osservatorio geofisico e di fare della propria passione un lavoro a tempo pieno, aprendo un'attività in proprio. Inizia così la storia di una società triestina che da anni tratta esemplari unici e rari in campo paleontologico, assemblando dinosauri provenienti da tutto il mondo come fossero puzzle a 3D. Il suo papà, geologo triestino laureato all'ateneo giuliano, è Flavio Bacchia, 61 anni, due figli, attuale amministratore unico del laboratorio Zoic srl (fatturato 2013 di circa 600mila euro) e componente di Gemina, la cooperativa che gestisce il sito di Antonio a Duino Aurisina, dove in questi giorni è in mostra “Laura”.
Come è iniziata l'avventura di Zoic?
Affonda le radici in circa 40 anni di esperienza nel campo della paleontologia di un gruppo di tecnici e geologi triestini. Potremmo dire che è il tentativo di passare il testimone a una nuova generazione di giovani, per portare avanti un lavoro di eccellenza nella paleontologia internazionale.
Non la spaventava il fatto che all'epoca Trieste fosse una periferia d'Italia?
No, non c'erano problemi neppure nell'era pre-web: semplicemente ero in giro per il mondo 4 mesi all'anno.
In quanti lavorano con lei?
A oggi siamo in sei, più due esterni. La maggiore dei miei figli, Giorgia di 36 anni, gestisce la parte amministrativa della srl. Il più giovane, Jader, 20 anni, sta cercando di capire se ha le caratteristiche per fare la guida con Gemina al sito del Villaggio del Pescatore.
Ma di dinosauri si vive?
Sì, parcamente.
Come nasce la sua passione per la paleontologia?
Ai tempi dell'università. Mi sono sempre occupato, a livello collezionistico, di scienze naturali. Visto che i fossili in Carso sono piuttosto rari, già da studente iniziai a interessarmene, iscrivendomi a Geologia. Nel tempo, vendendo i doppioni della collezione ho trovato un modo per sovvenzionare scavi e ricerche. La specializzazione nella preparazione dei giganti preistorici è venuta molto più tardi, una volta acquisite le competenze sul campo, viaggiando negli Usa, Francia, Germania, Inghilterra.
Quanti dinosauri ha preparato la Zoic?
Se consideriamo la Zoic come l'evoluzione di un percorso più lungo, da Trieste di dinosauri ne sono usciti a dozzine. Di famosi ce ne sono diversi: Frederich der Grosse, il diplodoco di 28 metri finito in Qatar; Von Paulus, il triceratopo di Boston; e Jenny, l'allosauro del Federico II di Napoli. E poi rettili volanti e marini, pesci e uccelli preistorici...
La maggiore soddisfazione?
Tante, potrei citare proprio il più grande diplodoco mai preparato, che i bimbi chiamano dinosauro a collo lungo, ora al museo nazionale del Qatar. Dovemmo affittare uno dei capannoni del cantiere di porto San Rocco per montarlo in tutta la sua estensione di 28 metri: non stava da nessun'altra parte. Quando arrivano qui i reperti sono cassette, poi diventano qualcosa che lascia stupiti i visitatori. Il nostro ruolo è trasformare un'entità incomprensibile in un bene che il pubblico possa godere.
Con quali musei ha lavorato?
La lista delle committenze è molto lunga. Per citare qualche nome noto, il British Museum natural history, i musei di Parigi, Monaco, Francoforte, Stoccarda, Barcellona, Mosca, Oslo, Vienna, New York, Washington, Boston, Los Angeles e Tokyo, Osaka e Sapporo. Abbiamo ripreparato l'unico dinosauro giapponese esistente.
E in Italia?
Naturalmente Trieste, Udine e Pordenone. Poi Venezia, Trento, Milano, Pisa, Livorno, Roma, Genova, Bologna, Palermo, Messina, Napoli, Cosenza e Cagliari.
Ma oltre ai dinosauri ha avuto altre passioni?
La fotografia subacquea, ma non riesco più a seguirla.
Qual è il suo sogno per il sito di Antonio?
La premessa è di ristabilire quel rapporto istituzionale che c'era 15 anni fa, in modo tale da poter pensare tutti nello stesso modo. Dopodiché tecnicamente bisognerebbe rendere fruibile ciò che già c'è, ma a un livello più professionale, investendo qualcosa in più rispetto a quello che Gemina ha potuto investire, non tantissimo. Quindi ci vorrebbero una struttura coperta e un laboratorio, entrambi fattibili.
E basta?
No. C'è il discorso, già progettato in lungo e in largo, dello scavo periodico del giacimento, affrontando la lente sul lato della strada e andando così a creare un fronte verticale parallelo ad Antonio, ma molto più esterno, dove promuovere ogni anno una campagna di ricerche. Ciò per fornire risultati scientifici e lo sviluppo di un approccio tecnico-culturale in chi vuole conoscere meglio il sito: un work in progress. Quest'iter, se impostato correttamente, porterebbe l'attenzione dei media e un costante flusso di visitatori per l'autofinanziamento della struttura e delle ricerche. Non vedo altre soluzioni, né scavi a spot. Con poche decine di migliaia di euro l'operazione si può avviare.
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