Dall’Antartide a Trieste l’esploratore che svela i segreti del grande ghiaccio

Il genovese Fausto Ferraccioli, da fine 2020 direttore della Sezione di Geofisica dell’Ogs dopo 18 anni a Londra e sei campagne al Polo Sud, tra i protagonisti di un importante progetto internazionale 
Fausto Ferraccioli
Fausto Ferraccioli

TRIESTE Basta ritrovarsi un pinguino per amico, sfuggire all’atteggiamento ostile di una foca o lasciarsi incantare da un biancore sterminato a meno 40 gradi per capire che, in Antartide, è tutto un altro mondo. «Un’esperienza spirituale», un «viaggio indietro nel tempo», una «sfida alla capacità di adattamento dell’uomo, non solo fisica, ma anche psicologica, emotiva», tanto da sentirsi «un esperimento nell’esperimento». Lo sa bene Fausto Ferraccioli, che ai ghiacci nell’emisfero australe ha dedicato gran parte della sua vita professionale, con studi in Italia e all’estero, e campagne in loco. Da novembre il ricercatore genovese è entrato a far parte della squadra di Ogs, l’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale, dove è stato nominato nuovo direttore della Sezione di Geofisica, dopo 18 anni trascorsi al British Antarctic Survey di Londra, uno dei centri più strutturati al mondo per gli studi sull’Antartide.

Ferraccioli di recente ha partecipato a uno studio condotto da un team internazionale di scienziati (di Ogs, del British Antarctic Survey e della Witwatersrand University in Sud Africa, coordinati dall’Università tedesca di Kiel), che ha permesso di sviluppare nuove, importanti, conoscenze sulla geologia nascosta sotto le calotte di ghiaccio dell’Antartide. Attraverso un sistema innovativo che combina le rilevazioni aeree con i dati magnetici dei satelliti della missione Swarm dell’Agenzia spaziale europea, si è infatti riusciti a “fotografare” il Polo Sud raggiungendo profondità finora inesplorate.

Con un doppio risultato per questo studio, pubblicato sulla rivista Nature Scientific Reports. Innanzitutto scoprire i segreti dell’evoluzione tettonica della Terra nel corso di miliardi di anni, collegando la geologia subglaciale dell’Antartide con quella di Australia, India e Sud Africa, oggi separati dagli oceani, ma un tempo uniti nell’antico supercontinente chiamato Gondwana, che iniziò a frammentarsi 180 milioni di anni fa. Ma non solo, «perché - spiega Ferraccioli - studiare cosa c’è nella profondità della crosta subglaciale ci permette anche di capire meglio i ghiacciai sovrastanti, il loro scioglimento, gli effetti del cambiamento climatico».

Il continente antartico è il meno accessibile del pianeta, un ambiente estremo, in cui un’enorme calotta di ghiaccio ricopre il 99% della terra sottostante, con uno spessore che può raggiungere anche diversi chilometri. Ciò rende la raccolta di informazioni geofisiche difficilissima. «Sappiamo più di Marte che dell’Antartide - spiega il ricercatore ligure -. Questo studio rappresenta un grande passo in avanti, perché ha permesso di creare il primo modello tridimensionale della Terra combinando dati magnetici, gravimetrici e sismologici, e ha consentito di mettere insieme, come i pezzi di grande puzzle, i risultati degli studi degli ultimi settant’anni».

Nel curriculum di Fausto Ferraccioli ci sono un dottorato di ricerca in Geofisica all’Università di Genova e poi 18 anni all’Antarctic Survey di Londra. Poi Trieste, dove rimarrà almeno quattro anni. «Ho vinto il concorso all’Ogs e sono entrato lo scorso novembre - racconta -. Per me è un ruolo nuovo, più direttivo e di coordinamento, che ha come obiettivo rafforzare ulteriormente il ruolo della Geofisica in Ogs». Lasciare il Regno Unito per fare ricerca in Italia? «Una sfida, anche se Italia e Gran Bretagna sono entrambe molto forti negli studi sull’Antartide e in questi anni ho avuto la possibilità di portare avanti numerose collaborazioni».

Sei le campagne al Polo Sud finora per Ferraccioli. «Per me è il luogo più affascinante del mondo: quando ci vado mi sento come un esploratore, come se fossi uno di quegli uomini che nei secoli scorsi andavano alla scoperta dell’ignoto. La magia del nostro lavoro, in luoghi remoti come il Polo Sud, è questa. E poi non c’è nulla, non ci sono persone, non esistono i rumori dei cellulari. Una campagna può durare da uno a tre mesi e spesso si rimane nelle tende per qualche giorno, con una temperatura esterna di meno 40 gradi. Di fatto noi stessi siamo un esperimento nell’esperimento, perché anche le nostre reazioni e capacità di adattamento in luoghi così estremi diventa materia di indagine. È quasi un’esperienza spirituale - racconta ancora il ricercatore genovese -. Ci ho pensato molto durante il lockdown: alcuni momenti di silenzio e solitudine mi hanno ricordato quelle esperienze straordinarie». Il prossimo traguardo? «Uno dei miei desideri sarebbe andare nell’Artico, che ancora mi manca. Ma ora penso al lavoro in Ogs, a Trieste, che poi, quando soffia forte la bora, un po’ l’Antartide me la ricorda». —


 

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