L’Italia di “Uccio” Valcareggi tra imprese e tonfi

La storia di un anti-personaggio, “mulo de Gretta”, grande amico di Nereo Rocco, raccontata dal figlio dell’allenatore e dal giornalista Polverosi. Lasciò la Triestina dopo 3 anni per spiccare il volo verso Firenze
Un'immagine d'archivio che mostra Sandro Mazzola (S) e Gianni Rivera (D), con lo scomparso Ferruccio Valcareggi, ex allenatore e ct della Nazionale italiana di calcio. ANSA-ARCHIVIO
Un'immagine d'archivio che mostra Sandro Mazzola (S) e Gianni Rivera (D), con lo scomparso Ferruccio Valcareggi, ex allenatore e ct della Nazionale italiana di calcio. ANSA-ARCHIVIO

TRIESTE «Per cinquant’anni ho fatto il figlio di Valcareggi». Il secondogenito Furio, ora procuratore di calciatori noti e meno noti, è di una sincerità disarmante. Da ragazzo ma anche in un'età non più verde, ha sempre pedinato il padre per i campi. Lo ha marcato stretto come fosse uno di quei terzini che ti mordono le caviglie sia quando “il babbo” allenava club di serie A sia quando prese possesso della scomoda panchina di ct della nazionale. Furio c'era sempre, non doveva neanche spiare dal buco della serratura. Era entrato nelle grazie dei giocatori e dei dirigenti. Una sorta di mascotte, il figlio del capo.

E quando Zio Uccio, così Valcareggi era affettuosamente chiamato nell’ambiente calcistico, incassò il premio di 15 milioni di lire per il secondo posto ottenuto in Messico, comprò una casa a Firenze, in via del Madonnone, a quel figlio che gli stava così incollato (forse con la tacita speranza che allentasse la marcatura...) dove ci vive tuttora con la sua famiglia.

Dopo tale premessa, sembra normale che Furio Valcareggi abbia avvertito la necessità di sdebitarsi con papà Uccio attraverso un libro dal titolo "Soltanto col mio babbo sul tetto d'Europa" scritto a quattro mani con il giornalista Alberto Polverosi (Absolutely Free Editore, 18 euro) in cui racconta le imprese e i tonfi di un uomo semplice e mite, che non ha mai voluto diventare un personaggio e quindi spesso trascurato dai media in rapporto a quanto ha invece ha dato al calcio italiano.

«Dopo trent'anni di fallimenti eravamo niente. Valcareggi ci restituì la storia». Questo libro, anche se prevedibilmente di parte, rende giustizia a un protagonista del calcio italico, un ct che in fin dei conti ha vinto l'Europeo nel ’68 e conquistato il secondo posto posto ai mondiali messicani. Un podio deprezzato solo dall'amaro epilogo con il Brasile (4-1) e dalle polemiche innescate dalla staffetta Mazzola-Rivera. Il fallimento degli azzurri in Germania nel '74 fu la pietra tombale per un allenatore che però ha scritto pagine azzurre importanti ed esaltanti (Italia-Germania 4-3). Una biografia anche ricca di aneddoti, di retroscena che Furio ha vissuto in prima persona e che sono il vero valore aggiunto, il sale, di questo volume.

Ferruccio Valcareggi, giova ricordarlo, era "un mulo de Gretta", abitava in strada del Friuli. Suo padre aggiustava radio per mantenere lui e i suoi fratelli. Il ragazzone è un centrocampista di talento che debutta presto in serie A con la maglia della Triestina nella stagione 1937-38. Quel giorno l'Unione vince a Valmaura 2-1 contro il Genoa. “El mulo de Gretta” è uno dei migliori in campo tanto da meritarsi le lodi del burbero Nereo Rocco che ben presto diventa una sorta di suo fratello maggiore (era più vecchio). Un grande amico, sempre prodigo di consigli.

Quel giorno il paròn gli si avvicina e gli dice: «Tien cinque lire mona, te gà giogà ben». Dopo tre anni in alabardato Valcareggi spicca il volo. Lo acquista la Fiorentina per 700 mila lire: la parentesi triestina si ferma qui. Dopo una buona carriera da calciatore e da allenatore di club, la chiamata che gli cambia la vita. Arriva nel 1965. E' quella di Giuseppe Pasquale, presidente della Figc. Ferruccio è al solito bagno Manè di Lido di Camaiore con la famiglia. E' la Versilia degli anni beati dove al “Piper 2000” folleggiano Mina, Patty Pravo e Fred Bongusto. L'offerta è buona: «Vuole entrare nello staff azzurro di Edmondo Fabbri?».

Il rapporto con l'Atalanta si è incrinato e Ferruccio dice sì. Ma non sa cosa lo aspetta. In primis il flop ai mondiali in Inghilterra dove l'Italia viene “trapanata” dal dentista Pak Doo Ik. Al rientro in aeroporto volano così tanti ortaggi da poter fare minestroni e insalate per un anno. Ma da una disgrazia calcistica arriva la grande occasione per Zio Uccio, uomo schivo, di poche parole che non fa certo ombra al grande capo Artemio Franchi. Ma è anche un tecnico capace, lungimirante. Il suo pupillo è Gigi Riva, sotto la sua gestione Rombo di Tuono segna 35 anni gol.

Dalla cenere al trionfo degli Europei del '68. In semifinale dopo il pareggio con l'Urss (o-0) la monetina sorride agli azzurri e a Ferruccio. In finale c'è la doppia sfida con la Jugoslavia. La prima finisce 1-1 e quindi la partita stavolta va ripetuta dopo 48 ore. Valcareggi rivolta la squadra come una calza e la mossa sorprende gli avversari. «Se devo dire una partita, una sola, in cui il mio babbo ha fatto un capolavoro, dico la finale bis dell'Europeo con la Jugoslavia». Bum bum di Riva-Anastasi, finisce 2-0 dopo anni in cui l'Italia ha mangiato solo polvere. E Valcareggi cosa fa? Non partecipa alla festa in campo, ma si fa inghittire dallo spogliatoio. Non va neanche a ritirare la Coppa. «Me ne sono scordato...», confesserà anni dopo.

Due anni dopo le aspettative per la spedizione in Messico sono altissime. Ma non tutto va per il verso giusto. Salvadore e Boninsegna vengono sacrificati, non entrano nei 22. Tuttavia alla vigilia della partenza Anastasi, ideale spalla per Riva, sta male, deve essere operato. Valcareggi ripesca Boninsegna e convoca anche Prati lasciando a casa Lodetti per il dissapunto di Nereo Rocco: «Ehi rossino, porta Lodetti in Messico, fai contento Rivera che si sente protetto e poi metti nel gruppo un bel mediano, ti sarà utile», gli aveva raccomandato. Zio Uccio aveva ascoltato il suggerimento del paròn, Lodetti inizialmente è nella lista dei 22 ma il forfait di Anastasi stravolge tutto. Dopo un girone di qualificazione non indimenticabile, arriva la partita con il Messico, parte titolare Mazzola che Valcareggi considera più attaccante e più concreto. La staffetta nasce in quella partita, al 1' della ripresa sull’1-1 entra Rivera e cambia l'incontro (4-1).

Con la Germania Valcareggi però non inverte la staffetta, è sempre Mazzola il titolare ma prima del pareggio allo scadere del milanista Schnellinger lo sostituisce con Gianni e il baffuto interista per la rabbia devasta lo spogliatoio. C'è poco da aggiungere di quell'incontro, lo abbiamo tutti scolpito nella mente. Alcuni inviati sostengono che è il capo-delegazione Walter Mandelli a sponsorizzare Mazzola, Furio Valcareggi ribatte che è una congettura assurda. In finale l'Italia ha ancora nelle gambe la battaglia ai supplementari con i tedeschi, è cotta; dall'altra parte ci sono grandi campioni, Sua Maestà Pelè, Gerson, Rivelino, Carlos Alberto Jairzinho e Tostao. Una disfatta (4-1 dopo il momentaneo pareggio di Boninsegna), Rivera gioca solo 6' e la prenderà malissimo, come un'umiliazione.

Va molto peggio quattro anni dopo in Germania con uno spogliatoio spaccato in due e un Chinaglia esplosivo. E dire che il ’73 era stata un’annata d’oro, l’imbattibilità di Zoff e la presa di Wembley. Fine della corsa azzurra. Ancora un paio di panchine in A e a 66 anni Ferruccio si ritira. Una volta in pensione si diverte dedicandosi alla scuola calcio della Settignanese, a un passo di Coverciano.

Muore nel 2005, a 86 anni. Il libro di Furio e di Alberto Polverosi brilla anche per tempismo. Colma con i suoi ricordi, almeno parzialmente, questo grande vuoto e questa tristezza mentre guardiamo il mondiali degli altri con gli azzurri a casa o meglio alle Maldive.

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