Da Fiume all’oro olimpico, la marcia trionfale di Pamich
TRIESTE. Due fratellini che scappano da casa, all’alba di un giorno di settembre del 1947. Non è una marachella di due bimbi vivaci. La loro è una fuga verso un tempo migliore. Nella loro amata città, Fiume (oggi la croata Rijeka), l’occupazione delle truppe di Tito ha spento la luce della libertà.
Quei due bambini marciano verso l’Italia, passando per quella Trieste che accoglie migliaia di profughi provenienti dall’Istria, dalla Dalmazia, dal Quarnero.
I fratellini si chiamano Giovanni e Abdon. Il primo è diventato un eccellente chirurgo, il secondo non ha mai smesso di marciare. Nemmeno quella volta a Tokyo, quando un mal di pancia rischiò di compromettere la finale olimpica. Ma Abdon vinse anche quella sfida d’oro e mille altre ancora.
Il libro sulla storia di Abdon Pamich, il campionissimo dal sorriso triste e dal cuore colmo di nostalgia per la sua Fiume, viene proposto da Edizioni Biblioteca dell’Immagine con il titolo “Abdon Pamich: memorie di un marciatore” (190 pagine, 14 euro con prefazione di Bruno Pizzul). Il libro sarà distribuito con Il Piccolo da sabato 6 agosto.
Pamich è uno dei più grandi campioni italiani di tutti i tempi. Nella severa disciplina della marcia ha vinto una medaglia d’oro olimpica (Tokyo 1964), il bronzo a Roma quattro anni prima, è stato due volte campione europeo e una quarantina di volte campione italiano. Tagliato con l’accetta, Abdon è un signore d’altri tempi, che narra delle sue imprese sportive come se parlasse di normali passeggiate. Percorrere fino a cento chilometri a passo di marcia comporta, intuiamo, uno sforzo fisico impressionante anche per la non naturalezza del gesto tecnico. Per superare tante e tali difficoltà bisogna essere dotati di una determinazione fuori dal comune.
Pamich, in questo libro, consiglia ai giovani di avvicinarsi allo sport senza pensare al successo, men che meno ai soldi. La vera sfida è con se stessi.
«Per diventare campioni serve innanzitutto una grande passione per quello che si fa», suggerisce il campionissimo. Amaramente constatiamo che la sua, oggi, è una voce nel deserto.
Divertenti alcuni aneddoti svelati dal marciatore. Come il suo matrimonio con la signora Maura celebrato alle 6.30, alla presenza di pochi intimi, per togliersi l’imbarazzo di essere al centro dell’attenzione. Si narra inoltre dell’insolita sfida, poi sfumata per eccesso di pubblico in piazza Duomo a Milano, luogo in cui lui e Mike Bongiorno, all’epoca conduttore di Lascia o raddoppia, avrebbero dovuto gareggiare a chi arrivava prima in un determinato punto della città: Pamich a piedi, Mike in vettura. Ma la folla che si catapultò nel luogo della partenza vanificò il duello organizzato in occasione del “battesimo” italiano delle strisce pedonali.
Tuttavia, la parte più toccante del libro riguarda l’infanzia violata dei fratelli Pamich, in quella Fiume che gli è rimasta sempre nel cuore e che in svariati posti del mondo in cui ha gareggiato puntualmente riaffiorava nei ricordi.
Toccante il racconto della prima volta in cui Abdon e Giovanni Pamich tornarono a visitare la casa natale, dopo decenni di “esilio”.
Memorie di un marciatore triste sarebbe stato forse il titolo più puntuale di questo mai noioso viaggio nei ricordi di un uomo ordinariamente straordinario.
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