Una poetessa tra gli orrori della guerra: Lina Galli e il dramma dell’esodo dei giuliani

Esce per le edizioni Gammarò a cura di Roberto Spazzali un libro che raccoglie gli appunti dell’artista nata a Parenzo e morta a Trieste

Paolo Marcolin

TRIESTE «Viviamo in un enorme campo di concentramento, dicono gli istriani che fuggono dall’Istria. Il settanta per cento degli uomini validi ha abbandonato le cittadine e vive desolatamente da profughi. Sono rimasti laggiù soltanto i vecchi, i fanciulli, i più poveri. Perché questa fuga? Perché su tutti grava il pericolo della deportazione per la sola e semplice ragione che sono italiani». Così scriveva Lina Galli in uno dei quaderni redatti negli anni successivi alla fine della guerra. Sono fogli, quaderni, biglietti, testimonianze, cronache dei giornali dell’epoca, raccolte da Galli (nata a Parenzo nel 1899 e scomparsa a Trieste nel 1993, nota soprattutto per la sua attività di poetessa) con lo scopo di far sapere quello che era successo in Istria e così tener viva la voce degli italiani che ancora ci vivevano.

Un corpus di carte cui l’autrice non ha mai dato forma organica e che nel 2006 è stato donato da Luigi Galli e Maria Pia Galli all’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata.

Piero Delbello, il direttore, a sua volta ha affidato il materiale alo storico Roberto Spazzali, che ha provveduto al riordino e all’inventariazione. Ora quel materiale è stato riunito per la prima volta in un volume dal titolo “…dei crepuscoli a settembre tutta la rovina. L’Istria tra guerra e dopoguerra negli appunti di Lina Galli” (Gammarò, 151 pagg., 16 euro), con l’introduzione e le note storiche a cura di Spazzali. Le pagine della Galli si devono leggere, avverte il curatore, come le voci di dentro di una comunità sospesa tra sofferenze, ansie, paure e speranze; chi le ha raccolte intendeva amplificare il volume di una protesta dolente, fermare la cronaca, non scrivere un testo di storia.

Un intento che la Galli aveva in comune con Maria Pasquinelli, la donna che sparò al generale de Winton per protestare contro l’assegnazione di Pola alla Jugoslavia. Anche lei aveva raccolto testimonianze e preparato memoriali che aveva inviato a Badoglio e Mussolini. Sarebbe interessante, nota Spazzali, sapere se Galli e Pasquinelli si sono conosciute o solo incontrate. Entrambe le donne, spiega lo storico, volevano denunciare gli abusi dei titini, ma se la Galli si limitò alla testimonianza, Pasquinelli cercò di tradurla in un’azione di carattere politico.

Quando comincia il suo lavoro la Galli ha quasi cinquant’anni; maestra elementare, dopo una prima esperienza nella scuola di Parenzo si era trasferita a Trieste, dove avrebbe insegnato fino al 1964. Dal 1935 fino al 1987 ha pubblicato raccolte di poesie e novelle e assieme a Livia Veneziani ha scritto la biografia di Italo Svevo, uscita per la prima volta nel 1950. Anche nella lirica ha toccato i temi della guerra e dell’esodo e il titolo del libro è un verso della poesia “La vedrò”, dedicata a Parenzo e tratta dalla silloge “Notte sull’Istria”. Affrontare la materia della guerra, delle violenze e delle foibe deve esserle costato tanto, come risulta dai dieci abbozzi incompleti, altrettanti tentativi dattiloscritti e manoscritti mai portati a compimento. Era un’impresa che aveva sentito come un obbligo morale anche perché coinvolta personalmente dalla scomparsa del fratello Benedetto, forse infoibato nell’ottobre 1943, il che spiega il suo travaglio emotivo e la sua pervicacia nel proseguire l’opera. I suoi appunti fermano quello che succede dopo l’armistizio del 1943. «Nei giorni tra l’11 e il 14 settembre le bande partigiane, un’accozzaglia di gente male armata entrarono da padrone nelle cittadine istriane inermi e indifese».

Le sue cronache si avvalgono anche dei reportage del giornalista del Piccolo Mario Granbassi, inviato in Istria in quei giorni. «Nei ventitrè giorni di occupazione i danni materiali subiti dalla popolazione furono ingenti. Nella fabbrica di sardine Ampelea di Isola fu fatta man bassa di tutte le merci esistenti in deposito. A Lussino e a Cherso furono fatte razzie nelle case dei contadini. A Parenzo fu vuotato il silos, a Capodistria furono depredati i depositi del monte di Pietà. Ma i danni ai beni erano ancora un nulla in confronto all’angoscia per la propria vita. Nessuno si sentiva più sicuro. È il terrore. L’ordine degli arresti partiva dal segreto tribunale di Pisino diretto da Ivan Motika, che condannò senza mai interrogare alcuno».

Un aspetto che Spazzali porta in evidenza è quello degli istriani che avevano risposto al richiamo della fratellanza italo slava e poi avevano deciso di lasciare l’Istria cercando di cancellare le tracce della loro iniziale scelta. Tra le carte di Galli si legge così di Antonio Rovatti di Capodistria, detto Toni Cromo, che fonda il partito cristiano sociale ed entra nel Cln, ma nel maggio del 1945 è presidente del Comitato popolare cittadino per poi rifugiarsi a Trieste nel 1947. Nelle annotazioni di Galli si delinea, scrive Spazzali, «il naufragio degli italiani della Venezia Giulia, l’assenza di una cultura democratica e la bassa percezione iniziale del pericolo». Molti speravano che un intervento esterno potesse salvarli ma, conclude lo storico «nel 1945 a differenza del 1918, non c’era nessuna nave italiana ad attendere agli approdi, non c’era nessuna potenza occidentale disposta a compromettere gli equilibri per difendere una regione tutto sommato marginale». —

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