Lidia Bastianich: «La griglia qui è un rito Bistecconi con salse e maialini interi»
L’intervista
Isabella Franco
Di italiani nel mondo ce ne sono tanti, molti fortunati ambasciatori del gusto e dell’italian style nei posti più lontani, ma sono di meno quelli che il successo vero lo hanno trovato. Tra questi, Lidia Bastianich è una autentica bandiera dell’italianità, cosa che ci rende un tantino orgogliosi perché per fare fortuna in America è partita da Trieste, quando aveva solo 12 anni. La sua, scritta in una recente biografia, è una storia comune a molti emigrati, nata da una situazione economica e sociale non proprio felice. All’anagrafe Lidia Matticchio, nasce a Pola ma vi rimane ben poco. I suoi genitori, protagonisti della diaspora istriana, saranno costretti a trasferirsi a Trieste nel 1956: Erminia Pavichievaz, la mamma, trova lavoro come cuoca presso una famiglia benestante di Trieste mentre papà Vittorio fa l'autista. È nel 1958, dopo soli 2 anni però che i Matticchio si trovano a fare i bagagli ancora una volta, destinazione New York, dove inizia l’avventura di Lidia. Qui sposa Felice Bastianich e ne condivide la passione per i fornelli che li porta alla professione. Il primo dei ristoranti Bastianich è il Buonavia, nel 1971, anno in cui nasce Joe. Arrivano poco dopo il Villa Secondo e il Felidia, diventati in pochi anni punti di riferimento non solo per gli italiani a New York ma per tutti gli amanti della grande tradizione enogastronomica tricolore.
La bella stagione è arrivata anche a New York, nel Queens dove Lidia vive e dove, ci confida, ha un pezzo di terra che accoglie odori e profumi della sua terra d’origine. «Sono riuscita perfino a trovare dei semi di scopìt! Lo so che lì in Friuli Venezia Giulia cresce nei campi ma qui era proprio impossibile e quindi l’ho piantata per i miei risotti e le mie frittate».
Del resto, non c’è niente di meglio, per stare in famiglia, di condividere cibo e compiti in cucina, compreso il rito delle mitiche grigliate americane.
È vero! La parte americana di me è molto soddisfatta quando ci ritroviamo tutti assieme e facciamo queste maratone culinarie, è un modo di rendere omaggio a questa grande nazione che ci ha dato un’enorme opportunità. Qui, la grigliata è un rito legato alle grandi feste patriottiche come il 4 luglio o il Memorial day dove ci si ritrova tutti per un lungo weekend, si festeggia con lunghe grigliate, si mangia, si beve e ognuno ha un compito. In giardino abbiamo un barbecue americano e un owen per la pizza, ma il vero re della brace è Joe, io sto in cucina e faccio le cose più sugose, antipasti, verdure bollite, il pane e grandi insalate.
L’Italia non manca mai quindi…
Da sempre porto avanti la vera cucina italiana, anche nei piatti della domenica che sono stati adattati dagli emigrati alle abitudini locali e alla disponibilità dei prodotti. La salsa che cucinano tradizionalmente in America di domenica gli italo-americani è un compromesso, perché gli espatriati avevano la memoria ma non gli ingredienti che erano abituati a usare nel loro Paese. Si cucina a seconda della disponibilità. E quindi, il Sunday souce, il sugo della domenica, si è trasformato in un intingolo con meat ball, salsicce, costate, braciole, che si cucina per molte ore perché i pomodori locali sono molto acquosi e si devono asciugare mentre la carne si trova in abbondanza.
I ćevapčići alla griglia fanno parte del menù di casa Bastianich?
Certo! Ma non in America, li mangiamo sempre in Istria, a Pola, dove c’è ancora la casa di mia nonna e dove ci ritroviamo tutti assieme proprio per mangiarli in quantità. Qui si mangiano hamburger e grandi tagli di carne ma c’è un tratto in comune con la grigliata italiana, soprattutto durante le feste: l’abitudine di grigliare animali interi come i maialini.
Tra la grigliata italiana e il barbecue americano c’è un oceano di differenza…
Sono due concezioni diverse di grigliare la carne, c’è un grande diversità di gusto e tecnica, più gentile, elegante e veloce quella italiana perché tende a esaltare il gusto del prodotto. Il legno in Italia è protagonista della grigliata, in America le sue nuances vengono coperte dalle spezie. Mi ricordo che mio nonno, quando potava la vigna in febbraio, salvava le fascine perché bruciano velocemente e sono perfette per brustolare il pesce e trasmettergli la tipica dolcezza del legno. In Usa è imprescindibile la marinatura, si fa innanzitutto con spezie in poltiglia e poi umide prima della griglia. Sono obbligatorie le barbecue souce, ce ne sono moltissime soprattutto nel Sud dove esistono dei veri e propri concorsi per la migliore salsa e barbecue rib. Le vendono per strada in carretti trainati dai trucks.
Anche le tecniche di cottura divergono.
Sì, qui la cottura è lentissima, ma si comincia con un fuoco vivace. Quando il grasso inizia a colare si abbassa la temperatura e si copre la carne. È molto importante il processo di smoking, l’affumicatura, che viene creata con macchinari particolari e dosata durante le ore di cottura.
Cosa si trova sulla griglia delle vostre feste insieme?
Qui si griglia di tutto, corn on the cab, peppers, zucchini, ma soprattutto bistecconi enormi. In America la carne, più grassa e tenera, è allevata con l’intento di mangiarla alla griglia e quindi è fatta molta attenzione all’alimentazione delle mucche. Certo, in famiglia usiamo le salse ma ci contiene la nostra tradizione e quindi io preferisco ricette più rispettose della genuinità della carne. Ad esempio, io faccio un condimento con porcini secchi macinati, pepe sale e zucchero. Con un po’ di olio è un ottimo intingolo secco per la carne di maiale e per il pollo. È buonissimo perché lo zucchero con le alte temperature caramellizza e fa una deliziosa crosticina. Per il pesce invece faccio una marinata con aglio affettato, olio, timo sale e pepe. È super sui calamari che vanno grigliati su un fuoco vivace con le teste. Qui però ci vuole un buon radicchio primo taglio del mio orto.
E per il dolce?
Anche il dessert può essere grigliato. Alcuni frutti si prestano benissimo, ad esempio la banana, l’ananas e le pesche che si possono grigliare per primi e poi lascar macerare con un po’ di zucchero e limone o miele. In America usiamo anche mettere sul fondo di un contenitore in ceramica della frutta, ad esempio le ciliegie, che viene ricoperta con farina, burro e mandorle. Poi si copre e si mette sulla brace.
Da dove nasce la sua passione per la cucina?
Dal tempo passato da piccola con la nonna perché mia mamma era un’insegnante e io stavo in campagna con lei che provvedeva al cibo per tutti. Avevamo maiali, capre, conigli, galline… ma non facevamo certo la griglia perché la carne serviva per fare sughi che sfamavano molte più persone! Quindi cucinare per me è diventata una confort zone, riportavo con me la nonna, i miei animali e gli odori della mia infanzia.
Oggi invece molte convinzioni tendono a considerare sacra la vita degli animali e evitare di mangiarli.
Pochi ragazzi oggi hanno l’opportunità che ho avuto io di vivere a contatto con gli animali e di rispettarne il ciclo di vita, di capire che se non si ammazzava il capretto o il coniglio non si mangiava. Quello che non si valuta è il sacrificio più grande che questi animali fanno per noi, nutrendoci. —
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