Wostry nel suo studio ritrovata a Livorno un’immagine unica
Claudio Ernè
Per un secolo è rimasta nascosta in un cassetto. Invisibile ai più. Ora l’immagine fotografica che vedete qui accanto è sta riportata in superficie assieme ad altri “negativi” che facevano parte dell’archivio del pittore triestino Carlo Wostry. Ed è a disposizione di tutti. Degli studiosi d’arte, degli appassionati di pittura e fotografia e del grande pubblico, sempre curioso di ciò che porta alla ribalta qualche nuova notizia sulla vita culturale della Trieste di cent’anni fa. Con buona probabilità è una delle pochissime, se non l’unica delle fotografie esistenti realizzate nello studio dell’artista, in via Domenico Rossetti 25. Carlo Wostry indossa un abito molto chiaro, ha nella mano sinistra la tavolozza, mentre tra le dita della destra brucia una sigaretta inserita nel sottile stelo di un bocchino di colore nero.
Finora non è emerso il nome di chi ha realizzato questa immagine. Di certo è una persona che conosceva bene la grammatica e la sintassi della fotografia. Lo dicono la scelta sapiente delle luci e delle ombre e la distribuzione dei pieni e dei vuoti: in primo piano, a figura intera, seduto su un esile divanetto, è ripreso il pittore che all’epoca aveva poco più di 50 anni.
Questa immagine è rientrata di recente a Trieste per iniziativa del presidente dell’Irci Franco Degrassi che è riuscito a intercettare un “corpus” di quadri, disegni, lastre fotografiche e pellicole che furono di Carlo Wostry. Ha trattato a lungo con un mercante livornese, ha trovato un accordo e le ha acquisite per inserire le fotografie, i quadri e i disegni nella sua collezione. Grazie e questa iniziativa parte dell’archivio rientrato a Trieste sarà esposto nella mostra sull’attività di Wostry che sarà inaugurata venerdì alle 17.30 nel museo della Cultura istriana di via Torino.
Ma non basta. Il pittore fotografato cento anni fa nel suo studio sarà “esposto” anche sulla copertina del catalogo della mostra curato da Piero Delbello; inoltre la stessa immagine potrà essere ammirata in alcune vie della città dove saranno affissi numerosi manifesti pubblicitari di grandi e grandissime dimensioni. Tra questi anche sei copie gigantesche, lunghe sei metri e alte tre.
La datazione dell’immagine emersa dall’oblio, in assenza di note o didascalie inserite nella busta, è comunque stata facile. Nello studio del pittore compare un grande quadro, oggi visibile al Museo del Risorgimento: ha per titolo “Le campane della Redenzione” mentre in origine era conosciuto come “Trieste, XXX ottobre 1918”. Il dipinto è stato completato nel 1919 proprio nello studio di via Rossetti, mentre le campane sono quelle della Cattedrale di San Giusto, mute dall’inizio della guerra. Carlo Wostry, il 30 ottobre 1918 per primo in città le fece vibrare dopo essere entrato quasi a forza nel campanile con due colleghi pittori, Cesare Sofianopulo e Franco Cernivez. Erano tutti irredentisti e con questo gesto volevano celebrare l’appena avvenuto crollo dell’Impero asburgico.
Lo riferisce lo stesso Wostry nelle pagine della “Storia del circolo artistico”, il volumetto scritto nel 1934, un paio d’anni prima del suo rientro a Trieste dagli Stati Uniti dove si era trasferito nel 1925. Secondo il racconto il pittore con i due amici salì di corsa sul colle di San Giusto mentre in città compaiono i primi tricolori. I gendarmi austriaci sono nel frattempo scomparsi. “In quel momento - si legge sul libro - usciva della chiesa Monsignor Buttignoni il quale non comprese a tutta prima le mie parole concitate, ma mandò il sacrestano a prendere le chiavi. La porta fu aperta e così con i due miei amici mi infilai nel campanile e ci chiudemmo dentro. Trovai nell’oscurità la corda e la tirai giù con quanta forza avevo e quel campanone, che per cinque anni era stato muto o aveva suonato il Miserere, per la prima volta dopo una troppo lunga attesa, vibrò festante ad annunciare la nuova era e l’entusiasmo della popolazione”. Fin qui il racconto, lo scampanio patriottico e la fotografia del 1919. Ma nell’archivio rientrato a Trieste dagli Stati Uniti passando per Livorno sono inserite altre immagini che ritraggono Carlo Wostry. L’obiettivo di un anonimo amico lo ha ritratto davanti al suo cottage di Serrano in California: prima accomodato in una sedia a dondolo, poi ritto in piedi ma sempre vestito di chiaro.
La mostra e il catalogo riservano anche altre preziosità. Tra decine di quadri spiccano alcune opere che sembravano, come le fotografie, scomparse da tempo. Ad esempio è emerso un bozzetto a olio su tela dedicato “alla convalescente” accompagnato da uno schizzo preparatorio a matita con l’esplicita citazione delle future misure del quadro: 188 per 228. Sarà visibile anche un importante olio che ha per soggetto “La morte di Cleopatra”, realizzato alla fine dell’800. Da citare il ritratto sorridente di Lisetta, pubblicato sulla “quarta di copertina” del catalogo dove sono evidenti le influenze di Giovanni Boldini, il pittore ferrarese considerato uno degli interpreti più sensibili e fantasiosi della Belle Epoque. Infine il pubblico potrà soffermare il proprio sguardo su un trasparente paesaggio che Wostry ha dedicato alle “Fonti del Clitumno”. Piero Delbello, curatore della mostra, spiega che questo dipinto non è stata realizzato da Carlo Wostry con l’usuale tecnica a olio. Al contrario le trasparenze di quella fonte sono diretta conseguenza di una tecnica mista messa a punto dall’autore in cui l’acquarello ha una funzione preminente. —
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