Vita e carriera esercitando la filosofia. Rovatti si racconta all’ex allievo Gaiarin
Si intitola “La filosofia è un esercizio” (La Nave di Teseo, pag. 256, euro 14) e già dalle parole possiamo prevedere quanto la filosofia, al di là di una disciplina che pensiamo spesso come “astratta”, sia indubbiamente anche una pratica. Lo firmano Pier Aldo Rovatti, in veste d’autore, ma soprattutto in veste di intervistato per mano di Nicola Gaiarin. Il libro uscirà il 24 settembre e sarà presentato il 26 al festival Vicino/lontano di Udine.
La filosofia, se vuole davvero essere all’altezza di una vocazione critica rispetto al mondo e all’esperienza, dovrebbe essere soprattutto un esercizio. Cioè qualcosa che si pratica in prima persona, con un certo margine di rischio. Farsi raccontare da Rovatti quello che è stato il suo percorso significa fare i conti con quasi cinquant’anni di cultura italiana: Giorgio Strehler e Paolo Grassi, l’amicizia con Derrida, il lavoro editoriale, la partecipazione all’esperienza di “Alfabeta”, i cosiddetti anni di piombo, Franco Fortini e Gillo Dorfles, l’incontro con Basaglia, il ‘68 e le lotte politiche, il suo maestro Enzo Paci, che dialoga con Husserl, Ricoeur e Merleau-Ponty, la direzione di “Aut aut”.
Riconosciuto come uno dei più autorevoli filosofi italiani, Rovatti ha studiato appunto fenomenologia a Milano con Enzo Paci e fin dagli anni ’60 ha iniziato a collaborare con la rivista di filosofia e cultura “aut aut”, che dirige dal 1976. Ma insomma il personaggio è noto, anche in città dove è editorialista del Piccolo (oltre a scrivere per l’“Espresso” e “Repubblica”), e aver fondato la Scuola di Filosofia di Trieste. Il libro racconta il suo percorso, focalizzandosi su alcuni periodi fondamentali, quindi il tragitto che lo porterà da Milano a Trieste dove per molti anni è stato docente di Filosofia contemporanea.
Forse pochi come Rovatti in Italia hanno declinato la filosofia alla pratica, allargandone il campo d’azione, entrando “praticamente” nel sociale. “La filofosia è un esercizio” prevede quindi le diverse tappe di questa maturazione: «È una lunga intervista fatta da un mio ex allievo, Nicola Gaiarin, in cui esprimo le mie esperienze culturali dall’inizio degli anni ’60 fino a oggi», dice il filosofo. «È una sorta di biografia che presenteremo al Festival vicino/lontano».
L’incipit è riservato a Milano: «Quando lavoravo al Piccolo Teatro, a cui segue un’altra esperienza importante: Paci e la fenomenologia. Poi gli anni ’70, il pensiero critico politico, la Teoria dei bisogni, il Pensiero debole fino alla Scuola di Filosofia di Trieste».
Ogni incontro è un pezzo di pensiero. Entra, di riflesso, nell’elaborazione teorica e pratica di un intellettuale che ha costruito con pazienza il suo modo di fare filosofia stando in contatto con esperienze che oggi sembrano lontane parlando sempre con semplicità di cose complesse. Che non significa renderle facili. Vuol dire mettere davanti a chi lo ascolta una scala, invitandolo a salire. Può capitare, alla fine del percorso, di raggiungere altezze decisamente vertiginose, ma il primo scalino, e questo è un merito che non a tanti può essere riconosciuto, Rovatti lo mette sempre all’altezza giusta.
C’è in questo libro l’idea che le cose che dici, le devi dire per farti capire. E che questo è il primo passo per iniziare l’esercizio della filosofia. Un esercizio che nel caso del filosofo ha incluso esperienze importanti: «Le fondamentali sono state parecchie, specialmente all’inizio, il teatro e la fenomenologia. Però direi che quella che più mi ha segnato è stata il Pensiero debole. Darei un certo rilievo, sempre all’interno delle mie vicende, anche alla nascita della Scuola di Filosofia. Tra l’altro quest’anno, lo dico in anteprima, prevediamo un ciclo di lezioni su “Ripensare Basaglia per liberarci dalle nostre gabbie”, questo il nome del corso. Ripensare Basaglia quindi per comprendere quanto il suo pensiero sia utilizzabile per uscire dai nostri schemi, spesso forieri di confusione». —
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