Venivano a Trieste dal Carso e dalla Dalmazia le ottocento prostitute ai tempi di James Joyce

Una ricerca sulla cartelle cliniche dell’ospedale e un libro del sociologo Marzio Barbagli indagano il fenomeno dal passato a oggi 
Immagine scattate in una casa di tolleranza a Trieste, dove fioriva una corposa attività di documentazione fotografica, in chiave promozionale Archivio (Claudio Ernè)
Immagine scattate in una casa di tolleranza a Trieste, dove fioriva una corposa attività di documentazione fotografica, in chiave promozionale Archivio (Claudio Ernè)

Agli inizi del Novecento la maggioranza delle circa 800 prostitute che vendevano ai maschi piacere e amore venale, era arrivata a Trieste dall’Istria, dal Carso, dalla Dalmazia. Lo scrive Erik Schneider nella ricerca effettuata sulle cartelle cliniche della Settima Divisione dermosifilopatica dell’Ospedale Maggiore. In città, all’epoca di James Joyce e Italo Svevo, erano in attività almeno 40 bordelli, per buona parte dislocati tra via Cavana, via del Fortino, via San Filippo, via dei Capitelli e via del Fico.

Oggi la situazione non ha subito grandi mutamenti perché l’80 per cento delle donne che si offrono agli uomini nei Paesi europei sono anch’esse delle immigrate. Le prime ad arrivare furono le nigeriane, seguite dalle albanesi, dalle brasiliane, peruviane e colombiane. Ma già dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si erano affacciate al mercato italiano della prostituzione ragazze e giovani donne provenienti dall’Ucraina, dalla Moldavia, Romania, Russia, Ungheria e Lettonia.

È questo uno degli innumerevoli dati contenuti nel libro che il sociologo Marzio Barbagli ha dato di recente alle stampe per la casa editrice bolognese Il Mulino. Ha per titolo “Comprare piacere - sessualità e amore venale dal Medioevo a oggi” e nelle sue 600 e più pagine (euro 36) viene esaminato con il supporto di documenti ufficiali, sentenze, ordinanze, statistiche e analisi approfondite, il procedere ondivago della prostituzione femminile e maschile in Europa. Ondivago perché a coinvolgimenti di massa sono seguite recessioni, crisi e mutamenti di indirizzo. In sintesi anche il sesso a pagamento ha seguito e segue le regole del mercato e si evolve nel tempo a seconda delle variazioni della domanda e dell’offerta, subendo l’influenza di innumerevoli fattori morali, religiosi, culturali.

Nel Medioevo con lo sviluppo della città e dei commerci la domanda di sesso a pagamento era cresciuta per poi ridimensionarsi nei Paesi coinvolti nella Riforma protestante. Aumenta di nuovo con l’affermarsi sul territorio europeo degli eserciti prima mercenari poi nazionali e si espande ancora con la Rivoluzione industriale, toccando la sua massima diffusione alla fine dell’Ottocento per poi declinare nell’ultimo secolo. Nel punto più alto e quasi universale della sua espansione, nel 1899, a Parigi il 17 per cento degli uomini adulti aveva la sifilide e in Inghilterra nello stesso anno era infettato il 10 per cento dei maschi. Non dissimili le percentuali in Germania: 8 per cento degli operai, 16 dei commercianti, 25 degli studenti era infetto. Mezzo secolo più tardi sarebbe emerso che solo il 35 per cento di queste infezioni erano dovute a contatti con prostitute. Il restante 65 era attribuibile a un grande cambiamento dei costumi – rapporti più liberi non solo per i maschi ma anche per le ragazze e le donne - in atto da decenni in alcuni Paesi occidentali. In altri termini questi maschi erano stati infettati da amiche, fidanzate, conoscenti – probabilmente anche mogli - che erano andate con loro senza farsi pagare.

Ma andiamo con ordine. Le curve che raccontano della crescita e del declino della prostituzione non sono lineari. Il ricercatore si trova di fronte a piccole variazioni: cadute improvvise della domanda e ritorni altrettanto veloci sulle posizioni precedenti. Le guerre incentivano la richiesta: le epidemie la comprimono. In questi mesi, scrive Marzio Barbagli, si è palesata l’ennesima crisi.

«Una contrazione del mercato del piacere a pagamento si è verificata a partire dal marzo del 2020, con la pandemia da Coronavirus che ha prodotto una nuova caduta della domanda e ha spinto le autorità delle città tedesche e di quella di Amsterdam a chiudere i bordelli, costringendo molte immigrate che si prostituivano, a ritornare nel loro Paese». Non si sa, o almeno l’autore della ricerca non lo scrive, se i gestori delle case a luci rosse o le stesse ragazze riunite in sindacato, abbiano chiesto “ristori” ai loro Governi per i mancati incassi.

All’interno del mercato del sesso a pagamento – si legge nella ricerca – le variazioni sono state spesso improvvise. Marzio Barbagli scrive della scomparsa negli anni Ottanta del Novecento dalle strade delle città europee delle donne che fino a quel momento si erano offerte sui marciapiedi e sulle tangenziali. “Molti uomini si accorsero che le loro connazionali erano scomparse e che il loro posto era stato preso da donne immigrate. Anche in passato, dal Medioevo in poi, le meretrici erano molto spesso donne immigrate dalle campagne, da altre regioni e talvolta anche da Paesi lontani, spinte con la forza o l’inganno da un lenone a lasciare la loro terra. Altrettanto è accaduto alla fine del Novecento: quelle che venivano da località distanti migliaia di chilometri, aumentarono notevolmente”.

Il loro arrivo era stato promosso e spesso gestito da organizzazioni criminali che le rendevano schiave. Sfruttate, maltrattate, derubate, rapinate, violentate, uccise. Allo stesso tempo i sociologi hanno scoperto, attraverso un’approfondita indagine condotta nel 2006, che tra i giovani dai 18 ai 29 anni, il sesso a pagamento acquistato dai magrebini residenti in Francia era di sette volte maggiore di quello comprato dai francesi. Nello stesso anno in Italia, l’antica consuetudine dei giovani maschi di iniziare la vita sessuale pagando una donna, era quasi del tutto scomparsa. —
 

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