Va all’attrice Ariella Reggio il Premio Ristori a Mittelfest: è lei la Signora del Teatro

Giovedì a Cividale del Friuli la consegna del prestigioso riconoscimento. Una lunga carriera tra palcoscenico, cinema e serie televisive. «Sono io la vera Débegnac»

Federica Gregori
Ariella Reggio
Ariella Reggio

TRIESTE «So che ghe ne xe tante de Débegnac, però mi son LA Débegnac». La triestinissima, irriverente signora Jole nata dalla penna di Carpinteri & Faraguna che ha spopolato in rete durante la pandemia è solo una delle tante maschere che ha indossato.

Nel suo carnet artistico, prezioso e ricco, si spazia da Giorgio Strehler a Woody Allen, dalle trasmissioni radiofoniche nella Bbc degli anni '60 alla fondazione di un teatro, La Contrada, per proporre un'alternativa allo Stabile regionale, e che continua a riscuotere successo anche oggi. Spiritosa e scanzonata da apparire nuda nel poster delle "Calendar girls" di Angela Finocchiaro, ha lasciato il segno anche in tv, dalla miniserie con Johnny Dorelli "La Coscienza di Zeno" diretta da Sandro Bolchi ai quattro anni nel cast di "Tutti pazzi per amore", che le ha regalato enorme popolarità su scala nazionale. Una carriera artistica senza confini che non conosce stop, per questa Signora del Teatro e non solo.

Tra i tanti palcoscenici da lei calcati c'è anche quello del Mittelfest, che oggi la celebra assegnandole il suo riconoscimento più importante: è Ariella Reggio a vincere il Premio Adelaide Ristori 2022, premio che riceverà stasera alle 20.45 sul palco della chiesa di San Francesco di Cividale del Friuli da Francesca Predan, presidente di Soroptimist Cividale, Roberto Corciulo e Giacomo Pedini, rispettivamente presidente e direttore artistico di Mittelfest. Reggio si racconterà poi al pubblico dialogando con il critico Roberto Canziani.

Quella di stasera (giovedì) è una delle anticipazioni della trentunesima edizione del Festival di teatro, musica e danza di riferimento per l'area Centro-europea e balcanica con sede a Cividale del Friuli, che prenderà il via domani per svilupparsi fino al 31 luglio con 28 progetti artistici. Il tema scelto, “Imprevisti”, sembra essere in linea con la reazione dell'attrice triestina al premio Ristori. Quest'anno il riconoscimento creato nel 1998 da Soroptimist Cividale non andrà infatti, come di consueto, alla migliore interprete della precedente edizione, ma si tratta di un omaggio alla carriera assegnato proprio a cento anni dalla nascita di una delle più importanti donne del teatro europeo dell'800.

«Non ho fatto una carriera altisonante» è il primo commento di Ariella Reggio, in linea con l'umiltà che la contraddistingue. Adelaide Ristori, però, fu attrice talentuosa e influente che con la premiata trova non pochi punti di contatto, a partire da un internazionalismo e una mentalità che sapeva travalicare le regole del tempo.

I suoi inizi alla Bbc sono molto curiosi.

«Anche se prima ci sono stati chili di chips da calare nell'olio, cartoline da timbrare dalla mattina alla sera, pile di piatti da portare in ristorante... e qualche volta farle cadere! "Come back tomorrow", torna domani, mi dicevano: ero pagata a giornate. Mr. Watson, nome letterario/cinematografico di un broker che mi assunse come impiegata, fu il primo datore di lavoro a farmi avere il permesso: so che significa essere immigrata e stare in fila in polizia a farselo firmare. Un giorno sono andata a fare i provini alla Bbc: stavano per iniziare un programma di lezioni d'italiano. "You go to the continent" dicevano allora: erano molto isolati e perciò avevano capito l'importanza di esserlo meno. Non c'erano tante attrici italiane a Londra e mi presero. Ero la seconda scelta: la prima era un giovane promettente che doveva tornare in Italia per girare un film: si chiamava Marco Bellocchio».

E poi?

«Così iniziai l'avventura: ero pagata bene e presi casa a Mayfair. Nel passaggio dalla radio alla tv, poi, diventai una piccola diva, e ricevevo anche tante lettere di ammiratori, rigorosamente scritte in italiano. Pensare che tutto era iniziato in gita con mamma a trovare un'amica. Alla fine, però, tornai in Italia: fu una forma di rispetto per i miei genitori cui mancavo tanto. Dopo, la mia vita è cambiata completamente. Sono tornata allo Stabile, ho conosciuto Orazio Bobbio (co-fondatore con lei della Contrada, ndr), sono quei bivi della vita che capitano a tutti. Ma no volè tuta la cronistoria, no?»

Nella galleria di personaggi che ha interpretato c'è qualcuno a cui è più legata?

«La Débegnac mi ha dato grandi soddisfazioni: nata sul palcoscenico è andata in rete e lì è letteralmente volata in giro per il mondo. Una cosa che mai mi sarei aspettata, incredibile: per farla capire da tutti ci ho messo anche i sottotitoli, non solo per i non triestini ma anche per i non udenti. "Mrs Rose" è un monologo che il pubblico ha molto amato, scritto dal drammaturgo londinese Martin Sherman, toccante storia di una donna ebrea; iniziato da Mario Licalsi e poi, quando è mancato, lo ha ripreso Sabrina Morena portandolo in tour a Roma e anche qui al Mittelfest. Nell'operetta ho avuto la fortuna di lavorare con la regia di Gino Landi nel "Cavallino Bianco" in un particolare Zanetto Pesamenole in gonnella: un personaggio che interpretava Lino Toffolo e che Gino ha voluto trasformare in femminile. Quel mondo dell'operetta era sfarzoso, ci divertivamo un mondo».

Oltre a Landi, qualche regista che le è rimasto nel cuore?

«Adoro Davide Livermore, oggi uno dei più quotati, e "La fille du regiment" che ho fatto con lui mi ha lasciato il segno. Tra i più giovani è piaciuto lavorare con Valerio Binasco, Serena Sinigallia, Cristina Pezzoli, Fausto Paravidino, e Matteo Oleotto. Al cinema, Luca Miniero. Woody Allen? Presentissimo a spiegarci come voleva la scena: molto carino e sempre vicino. C'era una bella atmosfera, per "To Rome with love", Penelope Cruz era in scena con noi, gentilissima, aveva appena partorito».

Un grande rimpianto?

«Non aver potuto lavorare con Peter Brook, che purtroppo se n'è andato. Lo adoravo e lo seguivo. E naturalmente ho adorato Giorgio Strehler e Francesco Macedonio. Senza conoscersi, si assomigliavano molto: avevano questa potenza di far capire tutto allo spettatore. Ma il pubblico capisce? Cosa pensa? si chiedeva sempre Strehler. Avevano entrambi un grande rispetto per il pubblico: non tanti registi ce l'hanno. E avevano questa vena magnifica, poetica: che in Italia manca perché i registi hanno paura del sentimentalismo, del miele. Ma la poesia, l'emozione, lo sappiamo, è ben altra cosa».

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