Sui kimono il Giappone che cambia ispirandosi alle avanguardie europee
TRIESTE. «Caro Bernard, avendo promesso di scriverti voglio cominciare col dirti che la regione mi sembra bella come il Giappone per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti di colore allegro». In una lettera scritta all’amico pittore Emile Bernard nel 1888 da Arles, Van Gogh guarda al Giappone come a una terra esotica e primitiva, in cui il rapporto uomo-natura è immediato e tradotto con spontaneità nell’arte, da cui la volontà di fare arte alla giapponese come confermano diverse copie ad olio di stampe, il taglio e la tecnica di vari disegni e l’impostazione di alcuni ritratti. Dal 1885 Van Gogh aveva iniziato a collezionare stampe giapponesi, scelta in linea con la scoperta e la collezione di stampe e oggetti dell’Estremo Oriente, fenomeno noto come japonisme, centrale nel rinnovamento artistico nella seconda metà dell’Ottocento in Europa.
Molto è stato detto e scritto sull’Orientalismo e sull’influenza delle arti giapponesi su quelle europee nel periodo, ma poco si sa ancora del rapporto inverso, ovvero di quel fenomeno complesso e sfaccettato che portò alcune arti giapponesi ad assimilare forme e contenuti di matrice schiettamente occidentale: avvenne con la pittura, che interpretò originalmente la lezione prospettica, ed avvenne con i kimono che, più di ogni altra forma d’arte, furono influenzati dal mutamento della società giapponese del tempo trasferendone fedelmente gli effetti sul tessuto, utilizzato alla stregua di una superficie pittorica.
“Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono della Collezione Manavello. 1900-1950”, la mostra allestita al museo della Moda e delle arti applicate di Gorizia a cura di Raffaella Sgubin, Lydia Manavello e Roberta Orsi Landini, attraverso una scelta accurata di kimono rari e altamente significativi, documenta una interessante fase di passaggio e di profondi cambiamenti vissuti dal Giappone nel periodo tra il 1900 e il 1950 e riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese.
Se nel secolo precedente, il japonisme era esploso in tutta Europa, influenzando una parte significativa della produzione artistica, all’inizio del Novecento il gusto occidentale esplode in Giappone. E questa ventata di novità investe anche il capo-simbolo della tradizione: il kimono. Ai motivi tradizionali si affiancano disegni coloratissimi che richiamano, in modo puntuale, il Cubismo, il Futurismo e le altre correnti artistiche europee. I kimono presentati in questa occasione, nei loro riferimenti ai movimenti artistici d’avanguardia e alla conoscenza della produzione tessile europea coeva, mettono in evidenza quanto fosse profondo, nella prima metà del secolo scorso, il legame e il flusso fecondo di idee che andavano dall’Occidente all’Oriente e viceversa.
Il periodo è uno dei più complessi e travagliati della storia giapponese, ovvero quello del passaggio da stato feudale a superpotenza, culminato con il secondo conflitto mondiale. Da un punto di vista socio-culturale, il Paese del Sol Levante visse questo lasso di tempo con un atteggiamento conflittuale, in bilico fra le novità provenienti dall’Occidente e il rassicurante attaccamento alla tradizione.
Nell’immaginario collettivo occidentale il kimono rappresenta l’icona stessa del Giappone, raffinata ed esotica, ma una cospicua parte dei kimono prodotti entro la prima metà del ’900, i kimono meisen, sfugge decisamente a questa categoria, adottando fantasie suggerite dai movimenti d’Avanguardia, dalla Secessione viennese alla Scuola di Glasgow, dal Futurismo al Cubismo, dal Divisionismo all’Espressionismo astratto di Jackson Pollock, ispirate a contemporanei fatti di storia oppure ancora alle conquiste tecnologiche, in un sorprendente caleidoscopio di colori, fantasie, tecniche di decorazione e di tessitura, anche queste ispirate alla produzione tessile occidentale. «I kimono meisen – sottolinea Lydia Manavello - realizzati tra la fine dell’Ottocento e il 1950 fanno uso di seta di seconda scelta e di una tecnica decorativa che prevede l’uso dello stencil solo sui fili di ordito, o anche su quelli di trama, prima che venga messa in opera la tessitura vera e propria».
La mostra presenta più di sessanta pezzi, tra diversi tipi di kimono, con splendidi esemplari più tradizionali di kimono formali da donna nubile (furisode) e formale da donna sposata (kurotomesode), una selezione particolarmente significativa di komon (kimono informali da donna) e haori (sovrakimono) dalle fantasie e illustrazioni influenzate dall’arte occidentale e da particolari eventi, nonché diversi obi, la cintura che viene avvolta e annodata intorno alla vita per chiudere il kimono. «I capi in mostra - afferma Roberta Orsi Landini - sono vesti raffinate, destinate a un ceto medio-alto, non confezionate per l’esportazione. Potevano essere apprezzate da persone di una certa cultura o anche semplicemente curiose o desiderose di apparire al passo con i tempi. Avevano certo tutte una visione: il loro Paese alla pari con le grandi nazioni del mondo, capace di assimilare le loro conoscenze, i loro costumi ma con l’orgoglio della propria diversità».
“Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono della Collezione Manavello. 1900-1950”, al Museo della Moda e delle Arti Applicate a Borgo Castello di Gorizia, è a cura di Raffaella Sgubin, Lydia Manavello e Roberta Orsi Landini e promossa dell’Erpac - Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Fvg. La Collezione Manavello è costituita da un cospicuo numero di kimono (da uomo, donna, bambino) e di obi, da oggetti e suppellettili giappones, tra i quali calzature, accessori, monili per capelli, bambole, oggetti per la cerimonia del tè, libri e materiale cartaceo d’epoca. Aperta fino al 17 marzo 2019, da martedì a domenica, dalle 9 alle 19. Catalogo Antiga Edizioni. Info: 348 1309981, www.musei.regione.fvg.it.
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