Sappiamo come leggere da appena cinquemila anni. E ora tocca alle scimmie

Neuroscienziato alla Sissa di Trieste, Davide Crepaldi pubblica per Carocci una guida alla conoscenza delle parole scritte e stampate. Dove si scopre che un libro è meglio 
Disegno Archivio Agf
Disegno Archivio Agf

TRIESTE Neuroscienziato, Davide Crepaldi è dal 2015 professore associato in Neuroscienze Cognitive alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, dove dirige il laboratorio di lettura, linguaggio e apprendimento. Nato nel 1979, ha ottenuto il suo dottorato di ricerca in Psicologia, Linguistica e Neuroscienze Cognitive all’Università di Milano Bicocca nel 2008. Recentemente Davide Crepaldi ha pubblicato “Neuropsicologia della lettura, un'introduzione per chi studia, insegna o è solo curioso” (Carocci, 2020, pp.116, euro 12), un agile saggio che sollecita interessanti quesiti su cosa accade nel nostro cervello mentre leggiamo.

Trieste, la lettura, le scienze, anzi le neuroscienze. Si trova bene in questa città...

«Sono arrivato a Trieste sei anni fa - risponde Crapaldi -. Rispetto ad altre università, la Sissa dà tempo e possibilità di concentrarsi nella ricerca. Qui ho trovato una città molto vitale. Nel nostro campo è importante avere buoni rapporti con le scuole e il territorio, e a Trieste è facile costruire collaborazioni, parlare con gli insegnanti, c'è curiosità intellettuale. Per quanto riguarda la mia attività si tratta d'una ricerca che fonde psicologia sperimentale, neuroscienze e linguistica. Studiamo i processi neurali e cognitivi connessi all’apprendimento della lettura e cerchiamo di capirne i meccanismi».

Il linguaggio orale e quello scritto viaggiano su binari separati?

«Il cervello non ha strutture specifiche dedicate al linguaggio scritto evolute biologicamente. Se il linguaggio parlato si apprende spontaneamente, la lettura e la scrittura hanno invece bisogno di un insegnamento esplicito. Mentre il linguaggio orale è un'eredità genetica, la lettura è un’invenzione piuttosto recente nella storia della nostra specie. Risale infatti a circa 5500 anni fa, un lasso di tempo molto breve rispetto ai tempi necessari perché il cervello sviluppi strutture dedicate secondo i canoni darwiniani, ovvero attraverso il vantaggio in termini di sopravvivenza garantito dalla lettura e mutazioni genetiche casuali. Non esistono aree del cervello che svolgono entrambe le funzioni. Di conseguenza per leggere c'è bisogno di un processo di apprendimento molto faticoso e impegnativo che tutti noi quando siamo bambini dobbiamo affrontare».

Quando leggiamo, capiamo 300 parole al minuto. Un giorno potremmo leggere una pagina di un libro con uno sguardo?

«Potrebbe succedere. Ovviamente c'è un limite alla quantità di informazioni che il cervello può elaborare, quindi non è possibile aspettarsi un miglioramento infinito. Forse un'intera pagina in uno sguardo è un po' ambizioso come scenario, però - sempre per via del meccanismo legato al vantaggio evolutivo - è possibile che il cervello si velocizzi e diventi più efficiente».

E le scimmie possono leggere? Hanno forse potenzialità cerebrali inespresse in natura?

«È chiaro che le scimmie non leggono nel senso usuale del termine, non hanno un linguaggio orale e non sanno associare un significato a un simbolo, ma un gruppo di ricercatori di Marsiglia ha dimostrato che - se opportunamente allenate - le scimmie sono in grado di distinguere parole vere. Ci sono infatti componenti cognitive nel sistema di lettura che non hanno nulla a che vedere col linguaggio, al punto che si può insegnare alle scimmie a distinguere parole inglesi realmente esistenti. Non è solo questione di memoria, la cosa interessante è che le scimmie hanno sviluppato un'intuizione su quali fossero le parole plausibili e quali no. Poiché le scimmie hanno un cervello visivo per molti aspetti simile al nostro, si tratta solo di fare l'allenamento giusto».

Amletico dilemma: è preferibile la lettura su carta o su schermo?

«La ricerca su questo tema è appena agli inizi e quindi non si hanno ancora grandi certezze, però ci sono alcuni fenomeni cognitivi ben conosciuti che possono dare delle spiegazioni plausibili sulla preferenza o meno su uno dei due tipi di lettura. Uno è il così detto “framing spaziale”. Il formato di provenienza delle parole che leggiamo influenza vari aspetti cognitivi connessi alla lettura. Uno dei modi più efficaci in cui ricordiamo il materiale che abbiamo letto è “ancorandolo” visivamente al suo contesto, ricordandoci che quell’informazione l’abbiamo letta ad esempio “in alto a destra”. Questi ancoraggi di memoria nel formato cartaceo sono più stabili, in quanto il contesto non può cambiare come avviene invece sullo schermo di un computer o di un Ipad. Quindi per studiare sono meglio i libri, per raccogliere informazioni è funzionale anche la lettura su schermo».

Dislessia, è la nuova malattia del secolo?

«Penso di no. La dislessia è una difficoltà nell’apprendimento della lettura e della scrittura, che lascia intatte le altre capacità cognitive. La sua origine neurale è ancora in gran parte sconosciuta, ed è molto complessa. Si manifesta in molti modi diversi e, nonostante il criterio diagnostico sia spesso unico (in italiano, ad esempio, si fa riferimento esclusivo alla velocità di lettura), è fondamentale caratterizzarla adeguatamente dal punto di vista cognitivo per dare il giusto supporto ai bimbi con difficoltà di lettura e gestire una loro crescita armoniosa». —


 

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