Rodolfo d’Asburgo e il suo male di vivere: storia del principe che usava le donne
TRIESTE Quali sono le vere ragioni della morte atroce di Rodolfo d’Asburgo? Che sia sia suicidato o che sia stato suicidato, non è poi così rilevante perché un fatto è certo: l’erede al trono del secondo impero più grande d’Europa aveva manifestato fin da adolescente un desiderio di autodistruzione.
Che cosa provocò questa cupio dissolvi? Le donne?
Questo sembra suggerire Friedrick Weissensteiner, storico austriaco, autore di biografie sugli Asburgo che hanno avuto un larga eco tra il pubblico in vari Paesi europei, con questo suo “Rodolfo e le donne” (Mgs Press Trieste, 280 pagine, 20 euro). Il volume nella bella traduzione di Rebecca Sandrigo ripercorre la vita dell’erede al trono dalla culla alla tomba.
Diciamo subito che Weissensteiner non si abbandona a speculazioni sull’uccisione di Rodolfo. Secondo lui, Rodolfo ha disseminato nel tempo segnali di voler porre fine alla propria vita; all’infelicità che lo tormentava, dovuta allo scarso amore della madre e alla rigidità del padre. Sissi era troppo presa da se stessa per pensare ai figli, salvo pulsioni di affettività avvertite più per sfidare la suocera Sofia che per senso materno. Francesco Giuseppe non conosceva il figlio e gli impose un’educazione militaresca, invece di lasciargli fare l’università e seguire la sua passione per la zoologia. E gli impose pure il suo conservatorismo.
Rodolfo, sottolinea Weissensteiner, era troppo simile alla madre: “Quanto più cresceva comprese che i genitori vivevano vite separate, il suo turbamento emotivo crebbe e gli causò una forte crisi di identificazione, che non riuscì mai a gestire. Non aveva nessuno che lo aiutasse a risolvere i suoi problemi interiori, era solo, malinconico, timido, introverso. Nessuno intuiva nemmeno lontanamente come si sentisse”.
Così cresce il principe che trovava amore solo nella balia “Nono” e nella istitutrice “Wowo”; che diventa preda delle dame dell’alta società poco più che adolescente, per il fascino che sa esercitare; lo corteggerà pure Elena Vetsera, la madre di Maria che morità con Rodolfo dieci anni dopo a Mayerling. Così lo descrive sua cognata, Luisa di Coburgo: “Era seducente. Di media statura e molto proporzionato, pur apparendo delicato, era molto forte. La purezza della sua razza era sotto gli occhi di tutti e quando lo si vedeva si pensava a un purosangue; poiché egli ne possedeva anche l’elemento essenziale... leggerezza e unicità. Era molto sensibile e cambiava spesso d’umore; a momenti era gentile e amorevole, a momenti irascibile, ma poi tornava subito la persona più deliziosa al mondo. Era impressionante; il suo spirito capace di assorbire tutto era lucido e acuto. Il sorriso di Rodolfo forse faceva ancora più colpo; era il sorriso di una persona enigmatica, simile a quello dell’imperatrice”.
Ma com’era con le donne? Le usava, a dirla semplice. Era figlio del suo tempo, come spiega Weissensteiner nell’interessante capitolo, quasi un saggio a sé stante, su “La donna e la sessualità nella seconda metà del XIX secolo”.
Rodolfo usò Stefania, che aveva solo 16 anni quando la sposò, per senso del dovere, scegliendo la persona mano adatta. Usò le tante donne, soprattutto di basso ceto, per le sue gozzoviglie. L’unica con cui il gioco non gli riuscì fu Mizzi Caspar, cocotte d’alto bordo e sua storica amante, alla quale propose di suicidarsi insieme. Lei rifiutò e riferì tutto al capo della polizia Franz Krauss. Il principe era marcato stretto per le sue pericolose amicizie con ebrei e liberali (per i cui giornali scriveva in forma anonima). Era come sua madre anticonformista, antiaristocratico, anticlericale e liberale. Riteneva che la monarchia fosse superata, prevedeva o intuiva che il regno degli Asburgo sarebbe tramontato e già vagheggiava di vivere in una Repubblica. Non escludeva di volere una vita da borghese. “Se sarò cacciato da qui”, disse a un amico giornalista, “andrò a servizio di una Repubblica, forse della Francia”. Usò infine la giovanissima e ingenua Maria. La plagiò per indurla ad accompagnarlo nell’estremo viaggio. —
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