Quel Leonardo in tv non la dice giusta. E poi non conosceva neppure la matematica

Lo scrittore Marco Malvaldi interviene sulle critiche sollevate dalla serie in onda su Rai 1 dedicata al genio del Rinascimento 
Aiden Turner nel ruolo di Leonardo
Aiden Turner nel ruolo di Leonardo

TRIESTE Sette milioni di telespettatori sedotti da “Leonardo”. Segno che Leonardo da Vinci continua a sedurre, come dimostra il seguito dello sceneggiato a lui dedicato in onda su Rai 1. D’altra parte è difficile superare il suo fascino: artista, scienziato, ingegnere. Tanto più se il battage pubblicitario della serie tv carica un profilo il più collettivo possibile, lasciandoci presagire un Leonardo etero e “attuale”. Per cui il personaggio non smette di ispirare le menti storiche ed artistiche. Non ci si stanca mai di scoprire informazioni sul genio toscano, spesso difficilmente distinguibili dalla fiction, come dimostra la biografia televisiva, sospesa tra verità (poca) e finzione (molta). Perché ad esempio, è un po’ difficile credere che il Verrocchio – all’epoca quarantenne – sia rappresentato dal bravissimo, ma anziano Giannini. Così come fa sorridere che Caterina da Cremona, rifiutata dal nostro, divenga la sua migliore amica (tra l’altro nel 2019 ricorrevano i 500 anni dalla morte). Tra gli scrittori che hanno omaggiato Leonardo, il popolare giallista Marco Malvaldi (pure lui toscano) si è inventato un Da Vinci detective con il romanzo edito da Giunti, “La misura dell’uomo”, uscito appunto nel 2019. Ipotesi non così bizzarra se pensiamo alla natura del protagonista, curiosa e creativa. Ma non si trattava di puro intrattenimento narrativo, per costruire il suo personaggio Malvaldi ha speso anni nella ricerca, mettendo a fuoco un affresco sul personaggio e il Rinascimento.



Il genio di Leonardo ora si celebra con questa nuova fiction per la Rai. La serie dichiara di ispirarsi a eventi storici reali, però non sembra i fatti descritti siano così provati...

«Piuttosto, alcuni dettagli denunciano trascuratezza – osserva Malvaldi – Il fatto che una nobile doni un libro ad una serva, per esempio: a fine ‘400 un libro costava come un’automobile, non di rado le persone li tenevano incatenati ai muri. Un oggetto del genere non si regala certo in maniera così noncurante. Anche il fatto che Leonardo dipingesse una modella dal vero è probabilmente molto implausibile. Sono dettagli, non sarebbe costato molto aggiustarli ma rimangono dettagli. La cosa più grave, secondo me, è far vedere la madre di Leonardo che lo cresce quando è ancora molto giovane: si sa per certo che Caterina venne fatta sposare poco dopo la nascita del figlio ad un altro uomo, Attaccabriga, e che probabilmente ha rivisto Leonardo solo a Milano, quando era ormai adulto».

Lei ha scritto sulla vita di Leonardo, trasformandolo addirittura in un investigatore. Qual è stata la sua ricerca?

«Mi sono aiutato con biografie, quella di Isaacson in particolare, all’inizio. Poi sono dovuto andare più a fondo: per il rapporto tra Ludovico e Leonardo le opere di Guido Lopez, per la Milano di fine ‘400 i libri di Francesco Malaguzzi Valeri e gli articoli di Edoardo Rossetti, che ha condiviso con me ricerche non ancora pubblicate. Per l’arte di Leonardo è stato insostituibile leggere le opere di Carlo Pedretti, per capire la storia e la tecnica del monumento equestre gli studi di Andrea Bernardoni. Ho avuto l’aiuto insostituibile di tanti esperti, che mi hanno guidato nella scelta dei libri da leggere, come Dario Dondi, fondamentale per guidarmi».

Secondo lei c’è un limite nel romanzare la vita di un personaggio storico a favore del grande pubblico?

«Credo sia una questione di rispetto per il significato che quel personaggio aveva all’epoca. Si possono mettere episodi non veri, purché verisimili e soprattutto purché non travisino l’indole del personaggio: un Leonardo spadaccino, per esempio, farebbe ribaltare dalle risate».

Nella fiction Rai si evoca un Leonardo omosessuale, anche se la serie tv non inserisce il vero artefice della denuncia. Nel suo romanzo lei vestiva lo scienziato di rosa. Era un’allegoria sessuale?

«No, affatto. Leonardo vestiva usualmente di rosa perché era biondo, e il rosa sta bene col biondo. Ma all’epoca il rosa non era affatto un colore femminile o effeminato, e del resto nella Milano del ‘400 uomini e donne si vestivano di colori sgargianti; la moda di mettere addosso ai maschi solo dei tristi completi scuri è venuta a fine’800, prima ne eravamo allegramente liberi».

La serie tv ha subito critiche anche per la lingua usata. Lei invece ha ideato una lingua quattrocentesca perfettamente comprensibile. Come ci è riuscito?

«Con Giulia Ichino, la mia editor, ci siamo messi alla ricerca di esperti della lingua dell’epoca che potessero aiutarmi, e lei ha individuato Gabriele Baldassari, che mi ha aiutato moltissimo nel ricostruire la lingua dell’epoca: quella delle lettere, quella di corte e altro ancora. La lettura delle lettere di Jacopo Trotti, ambasciatore degli Estensi a Milano, oltre ad essere di notevole godimento, mi ha insegnato tantissimo su come si parlava e si scriveva all’epoca».

Quale è stata la scoperta che l’ha colpita di su questo personaggio?

«Le sue difficoltà in matematica. Ho scoperto che Leonardo la matematica la imparò solo a Milano, grazie agli scritti di Luca Pacioli, ma a trent’anni faceva errori con le frazioni, del tipo che a uno studente di prima media non verrebbero perdonati».

Secondo lei una serie tv su Leonardo cosa dovrebbe restituirci?

«Credo che le serie tv debbano parlare dell’uomo che sta dietro al genio, e non solo del genio. Leonardo non nasce genio, diventa un genio grazie al posto dove nasce e a quello in cui cresce. Difficile diventare un grande sciatore, se nasci e vivi in Costa D’Avorio…». —
 

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