Quando Karajan clochard a Trieste chiedeva la carità in piazza Unità

Sul Piccololibri di sabato 13 febbraio un episodio poco noto del 1945, la cura “marina” dello scrittore austriaco Stifter, la dinastia dei fotografi Segale. Sette pagine in Tuttolibri
Il direttore d’orchestra austriaco Herbert von Karajan (1908-1989)
Il direttore d’orchestra austriaco Herbert von Karajan (1908-1989)

TRIESTE Chi è quello strano clochard, con lunga barba e bastone da cieco, che nel 1945 chiede l’elemosina in piazza dell’Unità? Gli si avvicina il direttore d’orchestra veneziano Nino Sanzogno, all’epoca impegnato sul podio del Teatro Verdi, e gli allunga qualche moneta. “Grazie Maestro”, lo apostrofa lo sconosciuto, lasciandolo basito. Lo strano barbone, per nulla cieco, è in realtà un “collega” di Sanzogno, nientepopodimeno che Herbert von Karajan, in fuga dal suo passato nazista e dalla successiva diserzione. Arrivato in Italia da Berlino con un volo militare nel settembre 1944, con la seconda moglie, Anna Maria Gütermann, ereditiera ebrea, Karajan trovò dapprima rifugio a Villa d’Este sul lago di Como, dalla famiglia Crespi, proprietaria del Corriere della Sera, poi, dopo la caduta della Repubblica di Salò, a Trieste. L’episodio dell’incontro con Sanzogno - che portò immediatamente Karajan a casa sua, gli fece fare un bagno caldo dopo molti mesi, lo rivestì e lo ospitò a lungo prima che il maestro trovasse asilo artistico dalla contessa Maria Tripcovich, madre del barone Raffaello de Banfield - è venuto alla luce nel libro “Karajan. Ritratto inedito di un mito della musica” (La nave di Teseo) del pianista Leone Magiera, marito di Mirella Freni.

A questo singolare “riconoscimento” è dedicato un lungo articolo nel Piccololibri in uscita domani con il quotidiano: sette pagine di storie, personaggi e cultura di Trieste e del territorio all’interno di Tuttolibri della Stampa. E non sarà un passaggio senza lasciare tracce, quello di Karajan a Trieste, perchè grazie ai buoni uffici della contessa Maria presso il Governo militare alleato, il maestro, che aveva una delle prime tessere del partito nazista, diresse l’Orchestra Filarmonica Triestina in quattro serate, tra settembre e ottobre 1945, a pochi mesi dalla fine della guerra e a sette anni dall’ultima esibizione a Berlino.

Città di singolari approdi, Trieste. Terapeutica, addirittura, per lo scrittore e pittore austriaco Adalbert Stifter, sceso nel 1857 da Linz all’Hotel de la Villa con alle spalle anni di disturbi nervosi e crisi depressive. L’unica cura possibile per lui pare essere la vista del mare e a Trieste se ne abbevera, osservandone i mutamenti di colore in base al suo “umore del momento”. «Ogni giorno, ogni ora era diverso e sempre bello. I colori passavano da un leggero smeraldo a un luminoso azzurro, al profondo ultramarino, come un’armatura piena di scaglie argentee, giocava davanti a me, a seconda di come era illuminato dal sole, a volte striato dalle nuvole, o coperto da una cupola, a seconda che il cielo al mattino fosse di un blu intenso, o nel pomeriggio che evaporasse in un calore quasi bianco», scrive al suo editore Gustav Heckenast.

Alla figura di Stifter e alla sua rigeneratrice vacanza triestina il Piccololibri riserva un lungo approfondimento, ripercorrendo, attraverso le lettere agli amici austriaci, la sua fascinazione per il golfo, la vitalità della città, il cantiere bianco del castello di Miramare allora in costruzione, l’opera lirica ascoltata al Teatro Grande. «Grazie al mare e alle sensazioni che mi ha dato questo popolo straniero - scrive in un’altra missiva a Heckenast - sono diventato molto più ricco di quanto non lo sia mai stato prima».

Prima dello smartphone c’erano le cartoline, tasselli ormai in via di estinzione della mappatura “fotografica” del territorio. E prima del photoshop c’era la grande manualità dei ritocchi sulle lastre, che cancellavano le brutture del paesaggio aggiungendo nuvole in cielo e scritte augurali, perchè ogni inquadratura fosse un perfetto biglietto da visita del posto rappresentato. Un patrimonio iconografico significativo e un trattato di sociologia spicciola, che testimonia cambiamenti urbani e architettonici e racconta la gente, il suo lavoro e la sua vita quotidiana.

Il Craf, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia con sede a Spilimbergo, ha inaugurato il 2021 acquisendo il grande fondo del triestino Aldo Segale, ultimo interprete di una dinastia di fotografi-vedutisti nel cui obiettivo è passata tanta storia del Friuli Venezia Giulia. Fondatore dell’archivio fu Adriano Cadel, titolare dal 1939 al 1958, di una ditta di commercio all’ingrosso di cancelleria e cartoline, con sede in via Gallina 1. Quasi trecento pellicole di celluloide di Cadel, che documentano la regione ma anche Veneto, Trentino, Alto Adige, Slovenia e Croazia sono state acquisite dal Craf, così come le lastre di grande formato del suo successore, Dante Segale, autore dal ’38 al ’60 di centinaia di foto in bianco e nero per i commercianti regionali. Ultimo, a raccogliere il testimone dal padre, è Aldo Segale, che ha immortalato in Diacolor di grande formato gli anni del turismo e del boom economico.

Al suo fondo di 5000 lastre, oggi entrato nel patrimonio del Craf, è dedicato il paginone centrale del Piccololibri. Le immagini coprono un arco di ottant’anni e hanno viaggiato nel mondo spedite da turisti, operai, emigranti, minatori e dai tanti militari che, con le cartoline, mandavano a casa una testimonianza dei luoghi della “ferma” nella regione “caserma d’Italia”.

Lo sfoglio musicale di questa settimana si completa con l’intervista al giovane pianista goriziano Alexander Gadjiev e con la mappa dell’attore Fulvio Falzarano che ricorda i bagni da ragazzo in quello splendido tratto di mare poi diventato la Riserva di Miramare. La chiave di lettura, in prima pagina, è affidata al poeta Sandro Pecchiari che ci porta in Giappone, con “Le vie in salita di Trieste” di Atsuko Suga. —
 

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