Pola e l’Istria si preparavano a prendere in mano le armi e insorgere contro gli jugoslavi

Viene presentato oggi, lunedì 7 febbraio, alla Sala Luttazzi il saggio dello storico Roberto Spazzali che propone inediti e rivelazioni sull’agonia della “città perduta” e il conseguente esodo
Pierluigi Sabatti

TRIESTE. In Istria si preparava un’insurrezione contro gli jugoslavi? Pare di sì a leggere il documentatissimo “La città perduta - L’agonia e l’esodo di Pola (1945-1947). I segreti, gli inediti, le rivelazioni. Una storia mai raccontata” di Roberto Spazzali, edizioni Ares, Milano 2021 (550 pagine, 25 euro). Lo storico triestino, esperto della storia dell’esodo, non lo dice espressamente, però elenca nei capitoli 10 e 11 del volume una serie di episodi che, legati l’uno all’altro, potrebbero far propendere per questa interpretazione. Il primo è la strage di Vergarolla di domenica 18 agosto 1946. La spiaggia polese ospita le gare organizzate dalla Pietas Julia per il 60° anniversario della fondazione. Alle 14.15, in un momento di pausa delle competizioni, ben ventotto tra mine, testate di siluro e vari residuati scoppiano improvvisamente. Quattrocento chili di tritolo. Si contano 65 morti (alcune fonti accennano a 116), decine di feriti di cui 19 con gravi mutilazioni.

Chi ha lasciato accanto a un luogo affollato una santabarbara pronta a deflagrare? Le ipotesi si susseguono e si contraddicono. Spazzali è esaustivo nello spiegare. In parole povere: o è stato un attentato voluto dagli jugoslavi per spingere gli italiani di Pola ad andarsene, approfittando del lassismo delle autorità alleate che allora occupavano la città (come Trieste), o è stata una disgrazia. Comunque la responsabilità è del Gma. E, aggiunge l’autore, erano arrivati degli avvertimenti di pericolo per la popolazione italiana.

Accanto ad esso altri tre episodi. Il primo: il 10 febbraio ‘47, Maria Pasquinelli, una maestra toscana pasionaria fascista, assassina il generale Robert de Winton, massima autorità alleata nella città istriana. Sono fresche di inchiostro le firme a Parigi del Trattato di pace tra Italia e le nazioni vincitrici che prevede la cessione alla Jugoslavia di Zara, Fiume e gran parte dell’Istria, e la costituzione di uno stato cuscinetto, tra Italia e Jugoslavia, il Territorio Libero di Trieste, affidato alla tutela dell’Onu.

Il secondo: sempre quel giorno avviene una misteriosa sparatoria a bordo del Toscana, la nave che ha cominciato a trasportare gli esuli via da Pola. La nave rientra in porto e sull’episodio non sarà mai fatta chiarezza. E girano voci della minaccia di un attentato sulla stessa nave.

Il terzo: nello stesso giorno l’Ufficio staccato di Venezia del governo italiano che si occupa della questione istriana informa in via riservata il Comando militare marittimo autonomo alto Adriatico che «superiori uffici» ritengono opportuno inviare «in abito simulato» a Pola venti carabinieri, comandati da un ufficiale «noto e abile in servizi del genere». Perché era stato ipotizzato il loro invio? Per coadiuvare le operazioni di sfollamento dei polesi oppure per altri motivi? La decisione rientra subito.

A quanto scrive Spazzali, si aggiunge una testimonianza di prima mano, quella di Livio Dorigo, polese, ex presidente del Circolo Istria, che all’epoca aveva 17 anni e che frequentava l’Associazione Partigiani Italiani, formata da coloro che avevano combattuto con sloveni e croati negli ultimi anni di guerra durante l’occupazione tedesca, ma si battevano perché l’Istria rimanesse italiana e ai quali erano state mandate armi dall’Italia. Una parte di esse era custodita alla stanzia Rizzi, situata in posizione strategica per fermare le truppe jugoslave dirette a Pola. «Eravamo pronti – dice Dorigo – ma l’ordine non venne mai». E lui come il 90 per cento dei suoi concittadini italiani (Spazzali fornisce dati e cifre precisi) si spargono per la Penisola.

Pola diventa jugoslava e sarà la città-simbolo dell’esodo.

Se questi sono gli ultimi atti e l’epilogo della vicenda, Spazzali spiega molto bene gli antefatti laddove parla di Pola la “Berlino dell’Istria” circondata da un territorio controllato dai titini per cui il contatto con l’Europa libera avviene via mare e, in modo più complicato, via terra attraverso la zona B con numerosi controlli.

Ma la “strategia della tensione”, come la chiama Spazzali, riguarda tutta la Venezia Giulia. Riallacciandosi proprio alla strage di Vergarolla, pochi giorni prima, l’11 agosto 1946, a Trieste, sulla riviera di Barcola avviene un episodio che presenta inquietanti analogie. Si sta svolgendo la 52° regata nazionale della Federazione italiana di canottaggio, a cui si erano iscritte tredici società con trenta equipaggi. Alla fine della quarta gara, la manifestazione viene temporaneamente sospesa: un ragazzo aveva scorto, in una piccola barca ormeggiata proprio sotto la tribuna della giuria, quattro cartucce di tritolo con i detonatori già innescati. “Il pericoloso fardello – racconta Spazzali - fu immediatamente rimosso dalla Polizia civile, senza creare troppo allarme, e la competizione poté concludersi senza incidenti”.

Nel libro Spazzali si sofferma anche sull’arrivo degli esuli in patria, spesso più matrigna che madre, e sul ruolo dello Stato, della Chiesa e di enti e istituzioni nella loro assistenza. L’autore riesce, anche grazie a nuovi documenti degli archivi d’oltre confine, a spiegare ai lettori con un linguaggio coinvolgente ed efficace un capitolo complesso e doloroso della nostra storia.

Riproduzione riservata © Il Piccolo