Paolo Valerio: «Subito al lavoro i nostri attori. Valorizzeremo i giacimenti culturali di Trieste»
TRIESTE Alla fine l’ha spuntata lui. Ma ce n’è voluto di tempo. E di discussioni. E di mediazioni. Poi, dal tavolo del cda del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, la decisione conclusiva: Paolo Valerio, veronese, 60 anni giusti, compiuti lo scorso primo gennaio, sarà il nuovo direttore. Si troverà nelle mani la barra del timone tenuto negli anni scorsi da Franco Però, e prima ancora da Antonio Calenda. Martedì mattina Valerio è arrivato a Trieste e si è insediato in plancia. Il mandato ufficiale partirà tra qualche settimana.
Non se l’aspettava proprio, Valerio, questa decisione. Anche perché i pronostici, puntualmente registrati sulle pagine di questo giornale, viaggiavano in direzione diversa.
«No, non me l’aspettavo, è vero. Ero già contento di essere entrato nella cinquina dei candidati, tutti professionisti che stimo molto. Maccarinelli, Preziosi, Lazzareschi, De Fusco, attori o registi con talenti diversi. Ho avuto occasione di lavorare con ciascuno di loro, esperienze molto belle. Ma tra quei nomi, io ero un outsider. Insomma, speravo. Ma non ne ero affatto sicuro».
Formato come attore alla scuola del Piccolo Teatro di Milano anni’80, poi regista, quindi alla direzione del Teatro Nuovo di Verona e del circuito di teatro educativo Gat Triveneto, Paolo Valerio ha maturato in questi ambiti l’esperienza che gli consentirà di guidare, per il triennio prossimo, lo Stabile regionale. Sono stati inoltre frequenti, nelle passate stagioni, le presenze dei suoi spettacoli nei cartelloni del Rossetti, del Bobbio, del circuito Ert Fvg. Con preferenze per Shakespeare e Goldoni, ma anche Dino Buzzati e Irène Némirovsky.
Li conosce bene, quindi, i nostri teatri.
«Al Rossetti negli ultimi anni ho portato alcune mie regie: lo Shakespeare di “Misura per misura” con Massimo Venturiello, e poi Buzzati e Némirovsky appunto: “Il deserto dei tartari” e “Jezabel” con quella splendida interprete che è Elena Ghiaurov. Il Rossetti lo conosco bene: è un teatro che enfatizza la qualità degli spettacoli, mentre altrove mi sono a volte trovato ospite di sale che la smorzano. Questa ha un boccascena smisurato, grandioso, ma al tempo stesso intimo. Caratteristiche che condivide con il teatro romano di Verona: un’immensità da riempire».
A proposito di riempimento, ha già idee precise?
«Ho studiato e preparato il mio progetto per il Rossetti, ma certo è che nei prossimi mesi dovrò approfondire i desideri e le necessità di questa città e dei suoi pubblici, che in parte conosco, in parte no. Io sono cresciuto a Verona, e per noi di pianura, il momento in cui, in treno o in autostrada, all’altezza di Duino, ci si apre davanti il mare è ogni volta un’emozione e una scoperta. A parte Rilke, che mi piace citare quando scorgo quel castello, credo che Trieste abbia una sua unicità, tutta da valorizzare: vuoi il porto, vuoi le istituzioni scientifiche, vuoi il turismo culturale, che è qualcosa di molto diverso dall’invasione esagerata che mette in affanno luoghi come Venezia, o la stessa Verona. Queste sono le linee su ci intendo muovermi e ritengo che un progetto legato all’arte possa sposarsi con questa città».
Il momento non è fra i più favorevoli.
«No, non lo è affatto. Ci aspetta un lungo periodo di’dopoguerra’dal punto di vista culturale. Una comunità da ricostruire. Eppure sono convinto che la pandemia rappresenti uno stimolo forte. Ne usciremo segnati da una grande voglia di cambiare. Potrà forse essere una rivoluzione...».
Finora ci si è concentrati sul dibattito tra spettacoli in presenza e spettacoli veicolati dal digitale: il tanto vituperato streaming.
«È un tema che mi sta a cuore. La maggior parte del teatro che vedo in streaming, emozionalmente, non mi prende. Non suscita insomma la voglia di rimanere lì, inchiodati davanti allo schermo. Questo non vuol dire che non ci siano anche esperienze interessanti. Vedo alcuni tentativi, ma è un tema appena posto. Vanno trovati i canali tecnologici più adatti, di visione e di ascolto. Per lavorarci a breve, ho in mente i radiodrammi. Franco Però aveva già un progetto, che intendo portare avanti e sviluppare. Lo Stabile dispone di una compagnia di attori, che in questo momento è la categoria più delicata, quella da difendere. Va offerta loro una sicurezza professionale. Così già da questo mese la Compagnia dello Stabile si rimetterà al lavoro. Occuparsi dei giacimenti culturali del territorio è qualcosa che si può fare subito. La città ha un mondo poetico e letterario smisurato. Ha il fascino immaginario di una città vera».
Le sale resteranno chiuse ancora per un bel po’, pare di capire. Resteremo sospesi in un limbo teatrale?
«Ci sono cose che faremo, immediatamente, appena sarà permesso. Offrire al pubblico gli spettacoli che durante questi undici mesi sono stati sospesi o cancellati, rimettere in circolo le produzioni del Rossetti: “I miserabili” per esempio. I progetti nuovi arriveranno con l’estate».
Ha già preso possesso della scrivania da direttore?
«L’ho trovata occupata da un sacco di libri. Ma molto ordinata. Arrivo tra un po’con lo scatolone, mi ha assicurato Franco Però. Così, nel frattempo, mi sono messo a cercar casa». –
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