Paolo Crepet: «Basaglia per me è stato un padre, ha cambiato la percezione del mondo»

Amico di famiglia, il rivoluzionario della psichiatria ha segnato la vita e la carriera del sociologo e scrittore. Che lo paragona a un antico doge veneziano

Gian Paolo Polesini

TRIESTE Paolo Crepet, classe 1951, è psichiatra, sociologo, educatore, saggista e opinionista fra i più noto in Italia. Laureato in Medicina e Chirurgia all'Università di Padova nel 1976 e poi in Sociologia all’'Università di Urbino nel 1980, nel 1985 ha ottenuto la specializzazione in Psichiatria presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Padova.

Ma nella sua lunga carriera una delle tappe fondamentali è passata per Trieste. Dove, con Basaglia, la psichiatria è diventata rivoluzionaria.

Professor Crepet, chi era Franco Basaglia?

È stato molto di più di uno psichiatra: un uomo che si è battuto e ha vinto la battaglia per i diritti dell’uomo riuscendo a dimostrare che un manicomio non è per sempre e, soprattutto, che un malato potesse avere delle cure e non subire delle torture. Compì il miracolo iniziando dal manicomio di Gorizia e lo completò chiudendo il San Giovanni di Trieste nel 1977. L’anno successivo fu approvata in Parlamento la legge 180 di riforma psichiatrica.

Risalendo alle origini della vostra amicizia troviamo suo padre ordinario all’università di Padova della cattedra “Malattie nervose e mentali” e Basaglia un giovanissimo assistente.

Sentii allora parlare di lui, io ero un poco più di un ragazzo. Siamo — giusto per inquadrare il tempo — verso la fine degli Anni Cinquanta. Nacque una spontanea simpatia fra loro. Entrambi socialisti laici e con pensieri che, in qualche modo, si assomigliavano. In famiglia si parlò spesso di questo Franco, finché il destino preparò un incontro all’ospedale di Arezzo tra me, appena laureato, e lui ormai un clinico affermato. Scelsi il nosocomio toscano perché era uno dei pochi dove la sperimentazione andava forte. Credo di essergli piaciuto dal primo minuto che ci incontrammo.

Il successivo suo step fu Verona dove, fra l’altro, conobbe un altro luminare dell’epoca, il professor Terzian.

Un grand’uomo oltre che un grande clinico — noto in tutto il mondo scientifico per la scoperta di una encefalopatia post-traumatica — attento agli aspetti sociali e politici della pratica medica e con Franco Basaglia fu uno dei più strenui difensori della Riforma psichiatrica prevista dalla legge 180 del 1978.

Come si avvicinò alla psichiatria, Crepet?

Indubbiamente gli influssi paterni se non altro mi indirizzarono nei paraggi, poi decisi di non fare il neurologo. Non per voler sempre denigrare il presente ed esaltare il passato, ma in quei decenni ricchi di personalità forti noi giovani eravamo travolti dall’entusiasmo. Credevi di poter fare cose importanti, ne eri convinto. Si respirava un’aria decisamente più salùbre e la cultura faceva parte del nostro mondo, eravamo bulimici di sapere. Ricordo che proprio con Basaglia mi ritrovai nella casa di Cesenatico di Dario Fo e Franca Rame. Mi alimentavo di tutto e mi saziavo.

Che mondo era prima della 180?

Terribile. E parliamo naturalmente di quel perimetro formato da una novantina di manicomi italiani con 120 mila persone prigioniere. Anche se qualche miglioramento con la riforma dell’allora ministro Mariotti lo si percepì dopo il 1968. I cittadini italiani che entravano negli istituti psichiatrici perdevano automaticamente qualunque diritto. Ecco, dopo la Mariotti anche chi veniva sottoposto a dei trattamenti coatti restava in possesso delle proprie identità. Piccoli passi, ma solo Basaglia fu in grado di compierne uno decisivo e risolutorio.

Cosa resta a poco più di quarant’anni dalla riforma?

La sua rivoluzione. Basaglia combattè come un vero soldato per far valere i diritti dei più deboli, uomini e donne che venivano inclusi dentro un manicomio senza gravi motivi, a volte anche per una persistente malinconia o per un aspetto particolare del proprio carattere. Da quel momento anche chi vedeva aeroplani che non c’erano ha iniziato a meritare lo stesso rispetto di chi non li vedeva. La battaglia di Basaglia va ben oltre la psichiatria, un rivoluzionario che appartiene di diritto alla schiera dei grandi del Novecento come Martin Luther King e come Gandhi, persone che hanno cambiato la nostra percezione del mondo. Franco avrebbe potuto essere, se avesse vissuto parecchie epoche precedenti, un doge che sarebbe stato ucciso molto presto. Me lo immagino accondiscendente e accomodante con i deboli e fortissimo con i forti e i potenti. Una caratteristica che accomuna i coraggiosi. Ecco, Basaglia mi insegnò il coraggio, non quello di una appartenenza, ma delle proprie idee. Lui, per me, è stato come un secondo padre.

Una spallata al sistema il cui eco rimbalzò ovunque uscendo dai confini nazionali.

La scienza di qualunque bandiera fosse non poté restare indifferente a ciò che successe in Italia. La lezione di Basaglia raggiunse Paesi e addomesticò certe pratiche consolidate che più o meno ovunque non si distanziavano molto dalla vergogna.

Manca oggi una personalità alla Basaglia? Per il carisma e la determinazione delle idee. Fosse un contemporaneo Franco adesso sarebbe un paladino della lotta contro la discriminazione di chi cerca la propria libertà e la propria felicità fuggendo da guerre, massacri e torture».

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