Novant’anni di Vespucci: il veliero che ha salutato il ritorno di Trieste all’Italia

TRIESTE Da 90 anni la sua prua costringe il mare ad aprirsi e ad accarezzarle lo scafo, mentre le vele gonfie di vento o il ritmico girare dell’elica la spingono verso la meta. Orgogliosa e maestosa. È la nave italiana più accreditata e ammirata all’estero, l’Amerigo Vespucci, il veliero – scuola che dal 1931 accoglie i cadetti dell’Accademia di Livorno nelle loro crociere di addestramento estive. A Trieste l’arrivo in porto di questo tre alberi assume un significato intimo e coinvolgente che va al di là dell’ammirazione: rappresenta la prova tangibile che l’Italia è qui, che esiste un legame fortemente voluto e perseguito fin da quando la Vespucci fece nel 1954 da nobile quinta alle rive e a piazza dell’Unità nella grande festa di popolo che sancì la fine all’isolamento della città dalla madrepatria e l’archiviazione definitiva della guerra mondiale e delle sofferenze e crudeltà che l’avevano accompagnata.
In sintesi questo tre alberi è diventato un simbolo e per questo tanti ne accarezzano con lo sguardo lo scafo e gli alberi quando attracca periodicamente alle Rive e sono disposti a fare lunghe file in attesa di poter salire a bordo per una breve visita.
È tutto d’acciaio lo scafo della Vespucci: la trave di chiglia, le costole, le lamiere del fasciame, inchiodate alle costole con migliaia e migliaia di “brocche” battute una per una quando erano arroventate e malleabili. In acciaio sono realizzati anche i tronchi maggiori degli alberi e alcuni pennoni. Ma il legno non manca, anzi è stato usato senza parsimonia. Il ponte è ricoperto da tavole di teak spesse sei centimetri e mezzo. In legno sono realizzate le parti alte degli alberi, la timoneria, gli alloggi per l’equipaggio, le lance e molti particolari dell’attrezzatura.
Lo scafo, lungo fuori tutto 82,4 metri e col bompresso 100,5 fu varato il 21 febbraio 1931 a Castellamare di Stabia per essere consegnato alla Marina il successivo 26 maggio. La larghezza massima dello scafo è di 7,5 metri, l’immersione di 7, la superficie velica raggiunge i 2100 metri quadrati, il dislocamento è di 4.146 tonnellate, l’albero più alto, quello di maestra, raggiunge i 55 metri, col motore diesel elettrico da 2000 cavalli sfiora i 10 nodi, l’equipaggio è di 400 uomini più i 150 allievi dell’Accademia di Livorno.
Lo scafo è verniciato in nero così da ricordare le antiche navi di linea di duecento anni fa, con le murate divise da strisce orizzontali in cui si aprono gli oblò per dar luce e aria ai locali; nei velieri a cui il Vespucci si ispira, lì erano sistemati i portelli dei cannoni.
La chiglia era stata impostata il 12 maggio 1930 e i piani di costruzione si rifacevano quasi perfettamente a quelli della gemella Cristoforo Colombo, consegnata alla Marina nel 1928. Le dimensioni delle due navi scuola si diversificavano di poco, con una leggera prevalenza nelle dimensioni e nelle attrezzature della Vespucci che entrò in servizio il primo luglio 1931. Va aggiunto che la Cristoforo Colombo al termine della seconda guerra mondiale dovette essere ceduta all’Unione sovietica in base alla clausole del trattato di pace di Parigi del 1949. Questa dolorosa cessione del tre alberi innescò reazioni molto pesanti in Italia. Le forze di sicurezza cercarono in ogni modo di prevenire atti di protesta eclatanti ma alcuni giovani ufficiali di Marina a poche ore dalla partenza della Colombo per l’Urss riuscirono a eludere la sorveglianza, a salire a bordo e a impadronirsi di un grande quadro esposto nel quadrato. Quel quadro che ha per soggetto lo sbarco di Cristoforo Colombo a San Salvador, oggi fa bella mostra di sé nella sala consiglio della Vespucci. Un segno di continuità e di orgoglio perché in più crociere le due navi scuola navigarono assieme: avevano raggiunto New York e Baltimora nel 1933 a suggello della crociera aerea del “decennale” di Italo Balbo. Nel 1936 erano state a Kiel in occasione delle regate delle Olimpiadi. Più volte avevano gettato l’ancora a poca distanza l’una dall’altra nelle acque della valle d’Augusto davanti a Lussinpiccolo. Lo testimonia una bella foto. Con la bandiera sovietica la Colombo fino al 1959 navigò nelle acque del Mar Nero dopo aver assunto il nome di Dunay-Danubio. Poi fu assegnata alla scuola nautica di Odessa e dopo quattro anni di vita stentata venne demolita.
La Vespucci al contrario continua a essere amorevolmente accudita con periodiche revisioni delle attrezzature e della dotazioni di bordo. Stessa cura per lo scafo e le vele realizzate nella classica tela olona. A differenza di altri velieri adibiti a nave scuola, la Vespucci con il suo “bordo libero” molto alto e la notevole larghezza dello scafo non può stringere molto più del traverso e le virate di bordo di prua non sono molto facili e veloci. Queste caratteristiche dello scafo le danno una eccezionale tenuta al mare grosso; memorabile è stato il suo comportamento nei primi giorni del settembre 1974, quando nel Golfo di Biscaglia, lottò per 50 ore contro l’Atlantico scatenato a forza otto-nove.
Molti appassionati ricordano anche la facilità con cui a vele spiegate passò nel canale navigabile di Taranto quando tra il novembre 1964 e l’ottobre 1965 ne era comandante il capitano di vascello Agostino Straulino, nato a Lussino, medaglia d’oro olimpica e più volte campione del mondo nella classe star. Suo è anche il record di velocità della Vespucci raggiunto a vele spiegate: 14,5 nodi. La superficie velica è di 2.635 metri quadrati suddivisa su 24 vele quadre e di straglio in tela naturale. L’albero di maestra è alto 54 metri, quello di trinchetto 50, mentre quello di mezzana raggiunge i 43. Per le manovre fisse e volanti le cime in fibra naturale hanno una lunghezza complessiva di 36 chilometri. Due i motori diesel accoppiati a due motori elettrici di propulsione. Una sola l’elica con le pale fisse. —
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