Nei magazzini di Storia Naturale a Trieste il tesoro nascosto degli uccelli catturati dalla “fatal Novara”

TRIESTE Ultimi testimoni di un ambiente scomparso, la loro voce si è spenta da oltre un secolo e mezzo, azzittita dalle carabine dei marinai della fregata ‘Novara’, e i loro canti sono rimasti laggiù, in mezzo ai colori giallo e verde della coreografica natura brasiliana. Sono gli uccelli, oltre un centinaio, che il Museo civico di Storia naturale non ha mai esposto, ma tiene protetti, alcuni impagliati, altri essiccati, in una stanza a temperatura costante sotto i 15 gradi centigradi. Fanno parte del ricco bottino naturalistico raccolto dalla missione scientifica promossa dall’arciduca Massimiliano. Molti sono senza nome, alcuni attendono ancora di essere studiati, ma in un prossimo futuro, grazie agli studi sul Dna del loro piumaggio resi possibili dai progressi della genetica, potranno raccontarci parecchie cose su di loro e sull’ambiente in cui sono vissuti.
Furono raccolti, insieme ad esemplari di varie altre specie, durante il viaggio intorno al mondo che la ‘Novara’ iniziò da Trieste, il 30 aprile 1857. Nei 551 giorni di navigazione la fregata veloce toccò 22 porti tra l’India, l’Indonesia, la Cina, l’Australia, la Nuova Zelanda; circumnavigò l’Africa e dopo la traversata dell’oceano Pacifico verso il Sud America risalì l’Atlantico fino a raggiungere il Mediterraneo per ritornare finalmente a Trieste il 26 agosto 1859. Gli scienziati che presero parte alla spedizione raccolsero 23.700 singoli esemplari di storia naturale, di cui 440 minerali, 300 rettili, 1.500 uccelli, 1.400 anfibi, 1.330 pesci, 9.000 insetti, 8.900 molluschi e crostacei, uova, 300 uccelli e nidi, numerosi scheletri, e 550 oggetti etnografici, tra cui 100 teschi umani.

Lo scopo del viaggio era ambizioso: conoscere il mondo. Dopo aver descritto con la geografia le parti del globo che avevano conquistato, le grandi potenze volevano classificare le specie animali. Già alla fine del Settecento suscitò scalpore la spedizione di James Cook in Oceania a bordo dell’Endeavour, poi il tedesco Alexander von Humboldt esplorò in lungo e in largo il Centro e il Sud America, mentre sotto la bandiera inglese si compirono i viaggi ottocenteschi di Alfred Russel Wallace e di Charles Darwin, che nel 1840 pubblicò il resoconto: “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”, preludio al suo famosissimo “L’origine delle specie”.
E proprio Darwin venne contattato, assieme a Humboldt, dal responsabile scientifico della Spedizione della ‘Novara’, Karl Scherzer, per alcuni consigli naturalistici. Alla missione parteciparono geologi, paleontologi, botanici, esperti di minerali e di meteorologia: in tutto quasi quattrocento persone, ufficiali e marinai compresi. Per accoglierli la nave fu sottoposta a un completo restyling; la ventilazione dei ponti inferiori venne migliorata e il numero di cabine aumentato in proporzione alle persone da ospitare; la polveriera fu convertita in una sala di lettura e dotata di una biblioteca ben selezionata e con varie tabelle e mappe che venivano aggiornate dagli ufficiali e scienziati con i dati delle loro ricerche.

Per la raccolta del ricco repertorio si utilizzò il criterio della meraviglia che poteva provocare nell’osservatore, secondo il concetto che animava i Wunderkammern, i cosiddetti gabinetti di curiosità. A bordo c’era anche un tassidermista che si occupava, una volta che gli uccelli venivano uccisi, di prepararli per la conservazione, impagliati o, una volta svuotati delle interiora, essiccati come le piante di un erbario. Poi si procedeva a scegliere un nome e a studiarli, una procedura complessa che poteva richiedere anni. Tanto è vero che anche alcuni degli uccelli che sono conservati nel Museo di Storia naturale aspettano ancora di essere studiati.
«Nessun ornitologo li ha mai visti, non è facile trovare un esperto di uccelli brasiliani», spiega Nicola Bressi, il naturalista che dirige il Museo. Una decina sono originari del paese carioca, poi sono quelli che arrivano dal Sudafrica, altri ancora dall’India. Sono preziosi perché in natura ne sono rimasti pochissimi esemplari. I ‘brasiliani’ della costa tra San Paolo e Rio de Janeiro facevano parte di un ambiente che non esiste più, la fauna costiera è completamente sparita, così come le sue foreste. Una volta che potranno essere studiati attentamente, le analisi porteranno alla luce i pollini imprigionati nelle loro piume e si potrà risalire alle piante di cui si nutrivano. Sono una miniera di informazioni per scoprire notizie su un ambiente ormai scomparso. Un po’ come succede con gli aironi conservati al museo originari delle paludi che ricoprivano la piana di Zaule, prima che fosse bonificata con le costruzioni della raffineria Aquila, della zona industriale e della Grandi motori.
Al visitatore interessa sapere se gli uccelli esotici della collezione ‘Novara’ si potranno ammirare. Nella sede di piazza Hortis le sale dedicate all’ornitologia erano due, ma tutti quanti assieme non sono mai stati esposti. La speranza di Bressi è che nella futura casa del museo, al magazzino 26 del Porto vecchio, si potrà esporne il più possibile. —
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