Mieli: «L’oblio può essere terapia ci insegna come voltare pagina»

Lo scrittore e storico oggi a Gorizia chiude la manifestazione “Contea” con la prima presentazione pubblica del suo ultimo libro edito da Rizzoli
Paolo Mieli, scrittore, giornalista, storico
Paolo Mieli, scrittore, giornalista, storico

GORIZIA Il suo ultimo libro è uscito questa settimana e per la prima presentazione in assoluto Paolo Mieli ha scelto Gorizia, dove stasera, domenica 27 settembre, alle 18, ne parlerà ai Giardini pubblici. Chiusura in grande stile per “Contea”, la rassegna del Comune, che archivia la prima edizione con il celebre giornalista, storico, scrittore e volto televisivo. “La terapia dell’oblio. Contro gli eccessi della memoria” (Rizzoli, pagg. 352, euro 18) è il titolo del libro che oggi Mieli è invitato a presentare, in un appuntamento che costituisce anche il prologo della terza edizione del festival AlienAzioni, organizzato da Gorizia Spettacoli.

Mieli, in cosa consiste la terapia dell’oblio?

«È un modo di salvare la memoria, in quanto al tempo di Internet, in cui la lettura approfondita dei libri viene purtroppo spesso evitata, la memoria stessa risulta eccessiva finendo, senza adeguati filtri, per generare confusione. La terapia dell’oblio serve quindi a una memoria vera: è non solo consigliabile ma assolutamente necessaria. Al punto che si tratta di una terapia che i difetti della memoria riesce persino a curarli».

In che senso?

«La memoria, parlo di quella personale ma anche di quella pubblica, tende a privilegiare il ricordo di avvenimenti che, alterando la realtà, fanno apparire chi la esercita un buono sopraffatto dai cattivi. Ciò porta a creare comunità in lotta contro il male, ma non a una corretta composizione della storia, che vede bene e male incrociarsi in maniera complessa. In questi casi, quindi, la storia entra in conflitto con la memoria. Mi piace allora paragonare la memoria a una tavola ingombra di carte: la terapia nell’oblio consiste non nell’eliminarle, come spesso facciamo, ma nel metterle in ordine, nell’archiviarle, nel riporle in un cassetto, nel salvare quelle carte fondamentali per vivere, secondo un oblio virtuoso, differente dalla sciatta dimenticanza. In fondo, credo che alcune malattie della vecchiaia nascano per liberare chi ne soffre dal peso di migliaia di ricordi per la gran parte tossici. La terapia dell’oblio, che può definirsi pertanto una forma ordinata di dimenticanza, favorisce allora la presenza e lo sviluppo di una capacità di primaria importanza nella vita di un uomo e di una comunità».

Di quale capacità si tratta?

«Della capacità di voltar pagina, di cominciare una vita nuova, lasciando alle spalle certi accadimenti. E ciò riguarda pure un momento come quello attuale connotato da una crisi pandemica che equivale a una guerra mondiale».

In quale maniera la dimenticanza può collegarsi al Covid?

«Quando il periodo sarà terminato, dovremo sfuggire alla tentazione di riproporre tensioni, litigi e argomentazioni di sempre, alla suggestione di credere che la vita sia una prosecuzione dei tempi precedenti. Per esempio, vedo con un grande sorriso sulle labbra chi, con un sistema di giudizio intellettualmente non onesto, usa le pandemia per continuare nelle lotte del passato. In altre parole, se scoppia una guerra che senso a continuare a giudicare? Ma si nota chiaramente che, poiché la politica continua, ciascuno prosegue nel portare acqua al proprio mulino. Quando l’emergenza sarà finita, anche se può sembrare un’affermazione molto usurata, nulla, tuttavia, sarà come in passato, proprio come dopo la prima o la seconda guerra mondiale». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo