Mi chiamavano Tatanka: la storia di Dario Hübner, bomber che piace a Calcutta
TRIESTE Aveva cominciando giocando a pallone tra le macchine a Zindis, il borgo a due passi da Muggia, e pochi anni dopo ha vinto il titolo di capocannoniere in serie A. È stato compagno di squadra di Baggio e Pirlo, ha segnato più di 300 gol durante una carriera lunghissima, che lo ha portato a giostrare sui palcoscenici maggiori fino alle soglie dei 40 anni, continuando poi nelle serie minori, perché il calcio per Dario Hübner è sempre stato quella cosa là, pallone e amici, uno spiazzo e un pomeriggio infinito, correre e divertirsi. Da anni ha messo radici in un paesino di campagna, alle porte di Crema. È contento, gioca ancora, ma ha cambiato mestiere, invece di segnare, adesso, per una legge dell’età più che del contrappasso, fa il portiere. È stato l’ultimo calciatore giuliano ad avere avuto successo nel calcio che conta, eppure qui pochi se lo ricordano, chissà perché. Altrove non è così. Non solo è ancora un idolo nelle città dove ha giocato e segnato caterve di gol, Brescia, Piacenza, Cesena, ma ha toccato la sensibilità anche di un cantautore. Calcutta, che fa musica indie con una strizzatina d’occhio al pop, gli ha intitolato una canzone dicendo "mi piacciono i personaggi talentuosi ma umani. Che sciolgono il cuore".
Ma cos’ha di tanto speciale questo ragazzone cresciuto nei cortili ormai scomparsi degli anni Sessanta, quelli pieni di ragazzini scalmanati che non ne volevano saperne di salire in casa fino a che non si faceva buio? Perché Calcutta canta “in questo mondo che è pieno di lacrime io certe volte vorrei fare come Dario Hübner?” E perché una casa editrice come Baldini+Castoldi gli ha chiesto di scrivere la sua autobiografia (‘Mi chiamavano Tatanka, pagg. 198, euro 17)?
Il segreto, se di segreto si può parlare, lo racconta lui stesso. A Dario piaceva il calcio, giocava con suo fratello Alessandro e un’altra coppia di fratelli, ed era contento. La sua massima aspirazione era giocare in prima squadra con la Muggesana. Per il resto la solita vita. Andava a pescare col papà, festeggiava il Carnevale come ogni buon muggesano con la sua compagnia, la Trottola, e si godeva le gite in Jugo in qualche buona gostilna. A scuola andava così così e allora finito l’obbligo tocca lavorare. Montare finestre di alluminio è faticoso, ma a vent’anni il fisico di Dario non teme la fatica. Guadagna la sua indipendenza e la domenica gioca sui campi in terra battuta delle categorie inferiori. Poteva essere l’inizio di una tranquilla vita di provincia, ma il suo talento, la potenza che mette quando calcia in rete la palla, il coraggio nel resistere ai contrasti dei difensori avversari, viene notato. Il caso, la fortuna, mettetela come volete, ma un osservatore del Treviso lo nota, chiede informazioni a Marino Apostoli, un muggesano che ha giocato in serie C, e il buon Dario prende la 20 da Muggia destinazione San Siro.
In realtà, prima di arrivare in serie A ci vorranno anni di apprendistato, la nebbia di Crema, gli spogliatoi di provincia, l’erba del campo così stirata e morbida che lui, abituato ai campacci di ghiaia di Trieste e provincia quasi non si ritrova. A Crema i tifosi imparano a chiamarlo ‘mulo’, ritmano un coro tribale che fa ‘spacca il palo, la traversa, Hübner gol’, e lui spacca, rompe, segna. Arriva a Fano, in panchina c’è Francesco Guidolin, la squadra vince il campionato e lì, è il 1990, l’anno di Balla coi lupi, il film con Kevin Costner, lo battezzano Tatanka, bisonte. Intanto si è sposato con Rosa, una ragazza di Crema, che l’anno dopo gli darà Michela. Ma il meglio deve ancora venire, la serie A, i gol a grappoli, il successo.
E il segreto? Il motivo per cui Hübner è apprezzato e rispettato dai tifosi e dai compagni, tanto che può permettersi di andare da Baggio e dirgli: “ti lascio la fascia di capitano, Roby, ma i rigori continuo a tirarli io”. Leggendo il libro si capisce: divertimento, tanto, e piedi per terra, sempre, hanno fatto di questo muggesano il re operaio dei bomber di provincia. —
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