Mario Calabresi: «Storie di giovani capaci di fare la differenza»
TRIESTE. «In Africa ho visitato l'ospedale che i miei zii fondarono quarantacinque anni fa, subito dopo il loro matrimonio. Da questa esperienza ho tratto un libro che spero sia un'iniezione di coraggio per i giovani». Il direttore del quotidiano La Stampa, Mario Calabresi, presenterà oggi a Trieste, al Caffè San Marco alle 21, il suo nuovo libro "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa" (Mondadori 2015, 17 euro): un volume in cui storie di ieri e di oggi si incontrano e confrontano, fino a formare una riflessione sul futuro delle giovani generazioni. A dialogare con lui ci saranno Simonetta Masaro, giovane specializzanda del Cuamm rientrata da poco dall’Uganda (tra i protagonisti del libro) e don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm. L’iniziativa è realizzata con il patrocinio di Burlo e in collaborazione con il Sism (Segretariato italiano studenti di medicina).
Direttore, in che occasione è nato il suo nuovo libro?
«L'idea m'è venuta ascoltando le domande che mi rivolgono i ragazzi quando vado nelle scuole. Soprattutto quelli sul punto di sostenere l'esame di maturità. Chiedono sempre se esiste un futuro per loro, se possono ancora sognare e pensare di fare la differenza».
In un passaggio del testo lei scrive che i giovani odierni sono nati senza i disagi dei loro predecessori, ma che ora si trovano davanti a un «deserto di incertezza».
«Il mondo è profondamente cambiato. Le mappe su cui da un secolo si muovevano genitori e nonni non sono più valide. Bisogna aggiornarle, sostituire le vecchie cartine. In buona parte è un compito che devono sobbarcarsi loro, calandosi nel loro tempo».
Parlando di questo lei racconta una vicenda famigliare.
«È la storia dei miei zii. Nel 1970 erano poco più che ventenni e si stavano specializzando in medicina. Dopo essersi sposati decisero di andare ad aprire un ospedale in Africa, creando un piccolo reparto di maternità partendo dalla loro lista di nozze. Da allora quella struttura è cresciuta e oggi è un grande ospedale. Ho voluto scrivere questa vicenda per provare che due ragazzi con i loro sogni possono fare la differenza. Un'iniezione di coraggio cui poi ho affiancato tante esperienze di oggi».
Per scrivere il libro lei è andato in Uganda, dove la storia è iniziata.
«È stato un viaggio molto forte, emozionante. I miei zii rimasero lì sei anni, poi tornarono in Italia. Ma l'ospedale ha continuato a crescere. Avevano seminato bene e le piante sono crescite sane e alte nella direzione che gli avevano dato».
Il viaggio le ha dato l'occasione per raccontare una vicenda "triestina".
«Sì, lì ho incontrato Simonetta Masaro, una ragazza che ha studiato medicina a Trieste e sta finendo la specialità. In lei ho visto la soddisfazione dei giovani quando sono messi nelle condizioni di fare le differenza. Mi ha fatto pensare a come, troppo spesso, chi ha venti o trent'anni sia nella condizione di chi attende l'autobus ma, ogni volta che passa una vettura, si sente dire che non ci sono più posti e che bisogna aspettare la prossima corsa».
Come se ne esce?
«Bisogna aprire spazi per mettersi in gioco. Andare all'estero non è l'unica soluzione. Nel libro racconto le storie di un giovane pescatore ligure e di un giovane mugnaio piemontese. Per costruire opportunità serve pensare in modo nuovo e guardare il mondo con gli occhiali di questo tempo, non con le lenti del secolo scorso».
A proposito di Novecento, nel libro si narra anche un'altra storia triestina, quella di due donne sopravvissute all'Olocausto.
«Le sorelle Andra e Tatiana Bucci, che furono deportate assieme e si salvarono soltanto perché, sembrando gemelle, i nazisti pensarono potessero servire agli esperimenti di Mengele. Raccontando la loro esperienza ai giovani, dicono: "Se noi ce l'abbiamo fatta, voi potete superare le difficoltà di questo momento". Un messaggio di speranza».
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