A Trieste Lezione di storia su Eva Perón, l’ira di Dio del popolo
Domenica 2 febbraio al Teatro Verdi il quinto appuntamento della rassegna della Laterza: Zanatta analizza il mito di Evita: «Era una figlia illegittima, senza istruzione»
Il successo del musical Evita, e il film omonimo premiato con un Oscar nel 1987 ha contribuito a rendere un ritratto veritiero della moglie di Peron, oppure tra bagni di folla e canzoni strappalacrime ha mantenuto vivo il mito? Sarà il professor Loris Zanatta, nella Lezione di Storia in programma domenica 2 febbraio alle 11 al Teatro Verdi (ingresso libero fino a esaurimento dei posti), a farci vedere da vicino chi era veramente Eva Duarte.
Il ciclo di Lezioni, ideato dagli editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste, media partner “Il Piccolo”, è dedicato quest’anno a figure di donne forti, autoritarie, anche dispotiche, come Eva Peron. Zanatta, che insegna Storia dell’America all’università di Bologna, frequenta da trent’anni l’Argentina e ha scritto una biografia su Eva Peron (Rubettino 2009) che non ha mancato di scatenare in sudamerica polemiche feroci.
Le Lezioni di Storia di Laterza al teatro Verdi sono solite fare il pienone. Qualora non trovaste posto, o foste impossibilitati a partecipare di persona, una soluzione c’è: la lezione verrà trasmessa in diretta sia sul sito del nostro quotidiano, Il Piccolo, che sul portale istituzionale del Comune di Trieste.
Professore, chi era Evita?
«Una ragazza senza istruzione, che in quanto figlia illegittima aveva subito lo stigma della società, e che pertanto provava un rancore enorme. Rabbia e frustrazione erano state trasformate in una macchina per accumulare potere».
Peron la sposa e, una volta vinte le elezioni, le affida un grande potere.
«Un potere enorme e senza controlli. Eva diventa il punto di riferimento dei sindacati e i sindacati usano Eva per accrescere il loro potere. Attenzione, si tratta di un sindacalismo fascista, un sindacato unico riconosciuto dallo stato».
Chi appoggiava il peronismo?
«Militari, chiesa e classe operaia erano i bastioni del peronismo. Il peronismo popolare era generoso nella distribuzione delle risorse. Dall’altra parte le forze armate temevano la crescita di potere dei sindacati perché avevano capito che la politica di distribuzione delle risorse inibisce l’accumulazione necessaria di capitale per lo sviluppo del paese. Il grosso del ceto medio argentino era anti peronista».
Quella di Peron e di Eva era una specie di ditta?
«Era un sistema bicefalo. Lei dà popolarità a Peron, trascina le masse ma al tempo stesso tempo potenzia i sindacati irritando le forze armate».
Peron si rende conto del rischio?
«Se ne rende conto ma ne ha bisogno, perché il potere sindacale gli consente di rendersi autonomo dai militari. L’Argentina, che era un paese ricco, dal 1949 comincia a impoverirsi a causa della politica di distribuzione delle ricchezze praticata dal peronismo. Ma l’azione sociale di Eva, fondata sull’uso a fini privati o di partito dell’enorme ricchezza che aveva il Paese, ne fa una figura immensamente amata dai ceti popolari.
Si battè per portare le donne al voto.
«Portò le donne al protagonismo politico, ma sempre nell’ambito delle coordinate morali del mondo cattolico dell’epoca. Di femminista non c’è nulla».
La sua popolarità fu immensa, in Argentina vive ancora il suo mito?
«È inutile confrontare i miti con la storia e i fatti; i miti camminano con le loro gambe, non dipendono tanto dalle figure li rappresentano in sé, ma da ciò che cercano in quei miti coloro che ci credono. Quel regime fondato sulla restaurazione della cattolicità della patria risponde a un immaginario di tipo religioso. L’uomo che ha costruito intellettualmente Eva Peron, il suo ideologo, è stato un gesuita argentino. Il cattolicesimo latinoamericano è molto mariano. La figura centrale della devozione è la vergine perché è l’intermediaria tra un dio lontano e remoto, che in questo caso è Peron, e il popolo. Eva svolge palesemente questo ruolo».
E il suo ruolo politico?
«Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento ricompare come icona dei movimenti peronisti e rivoluzionari che imbracciano le armi per fare la rivoluzione socialista».
Il 7 febbraio uscirà per Laterza una sua biografia su papa Bergoglio. Qual è la sua posizione su Eva?
«Per lui Eva incarna la religiosità popolare. Nel cattolicesimo latinoamericano, dove la chiesa è percepita come il tutto, tutto è fondato sui simboli, sulla devozione cieca su una figura religiosa. Bergoglio è cultore di questa religiosità. Anche l’uso dei soldi che faceva Bergoglio è lo stesso di Eva, che con la fondazione Eva Peron spendeva, facendo anche cose utili, ma generando effetti a medio e lungo termine deleteri. Si trattava di assistenzialismo puro».
A proposito di Bergoglio, il suo rapporto con la dittatura di Videla?
«Bergoglio era il capo dei gesuiti durante la dittatura militare. Era organico alla tradizione nazional popolare argentina espressa dal peronismo ortodosso, quello della triade dio, patria e popolo, il cui modello era il salazarismo portoghese o il franchismo spagnolo. Ora sto studiando la nascita, dopo la seconda guerra mondiale, di una rete neofascista tra Vaticano, Spagna Italia e Argentina. E’ la pista che porta alla P2, dove si ravvisa il progetto di Peron di creare un grande blocco basato sulla cattolicità e che si richiama al fascismo».
E Milei, l’attuale presidente dell’Argentina?
«Apparentemente Milei non viene dal peronismo, ma la sua cultura politica non è liberaldemocratica e i suoi intellettuali di riferimento sono nazional cattolici. Certo, quando vedo Milei e Meloni che si incontrano cinque volte l’anno qualche domanda me la faccio». —
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