Le Rivoluzioni del 1848 domenica al Teatro Verdi

Alberto Mario Banti racconta la “primavera dei popoli” grande illusione dell’Ottocento

Domenica 16 dicembre al Teatro Verdi di Trieste, alle 11, il secondo incontro delle Lezioni di Storia, promosse dal Comune di Trieste, ideate e progettate dagli Editori Laterza con il contributo della Fondazione CrTrieste e la media partnership del Piccolo. Ecco l'intervento dello storico Alberto Mario Banti, docente di Storia contemporanea all'Università di Pisa, che parlerà della Rivoluzione del 1848.

ALBERTO MARIO BANTI

TRIESTE. Per comprendere le rivoluzioni del 1848, le varie ragioni che spinsero i rivoluzionari sulle barricate e il loro sostanziale fallimento, bisogna ricostruire la complessità del quadro europeo entro cui avvennero i moti. In modo particolare, l’attenzione va posta sulla forza propulsiva che ebbe l’idea di nazione nello spingere una varietà di persone di diversa estrazione sociale a ribellarsi all’autorità costituita.

Nelle fasi iniziali della rivoluzione, che è stata definita “la primavera dei popoli”, i leader rivoluzionari misero grande enfasi sul fatto che tutta l’Europa stava per cambiare e si stava per formare una Europa delle nazioni sorelle fra loro, collegate fra loro, sperabilmente dotate di istituzioni rappresentative. Ma questo slancio così ricco di speranza che si ebbe all’inizio del esperienza rivoluzionaria, man mano che passarono i mesi si trasformò, e la componente divisiva dell’idea di nazione prese il sopravvento. Alla fine la rivoluzione del 1848-49 può essere letta come il primo manifestarsi del nazionalismo aggressivo, la prima prova evidente che il nazionalismo è un’ideologia che non tende a costituire una Europa unita, ma piuttosto a costituire comunità politiche che si sentono divise, caratterizzate da elementi propri e distinti dalle altre comunità.


Gli elementi dell’ideologia nazionale che sono di ostacolo a progetti di carattere federale e transnazionale e hanno viceversa una caratteristica così rigida e divisiva, che porta a inasprire il confronto tra le comunità nazionali, anziché appianarlo verso una possibile Europa delle nazioni come sognava Mazzini, stanno proprio nel nazionalismo romantico. Il considerare la nazione come una famiglia, come un sistema di parentela e quindi come una genealogia rende l’idea di nazione molto concreta e semplice da capire.

Con “Rivoluzione!” al Verdi di Trieste ritornano le Lezioni di Storia
louis xvi on his way to the temple prison, during the french revolution, is made to wear a green bonnet, a convict's bonnet. from a contemporary print.

L’idea di nazione come quella di una famiglia allargata rende molto viva la proposta politica nella mente delle persone della prima metà dell’Ottocento, quando la linea genealogica fonda la legittimità al potere delle famiglie regnanti e di quelle nobiliari. Far condividere a tutta la comunità il concetto che la nazione siamo tutti noi, che siamo una parentela e abbiamo una storia alle spalle, significa nazionalizzare il concetto di genealogia. È un modo per rendere molto comprensibile e suggestiva l’idea di nazione, ma nel momento in cui si compie questa operazione e si fanno intervenire una serie di concetti facili da capire e la nazione diviene un linguaggio come quello della famiglia, si comincia a parlare di sangue e di stirpe, a dire che esiste un sangue italiano, uno tedesco e così via. Si prenda come esempio quanto accade a Venezia, che nel 1848 è una città multinazionale, ma nella quale, dopo le prime enunciazioni rivoluzionarie divampa la caccia allo straniero.

La collaborazione tra i popoli si infrange di fronte a questa concezione bio-politica della nazione tipica del nazionalismo romantico. Un personaggio chiave per riflettere sull’idea di nazione è Giuseppe Mazzini. Egli sognava più di tutti, con più determinazione e tenacia, una Europa delle nazioni, fondò la Giovine Europa una organizzazione politica rivelatasi fallimentare, ma contrariamente a quanto si pensa ancora oggi, Mazzini, che certamente era un sincero repubblicano e un democratico, era anche un nazionalista che immaginava la nazione con le stesse caratteristiche concettuali che facevano parte di quella temperie politica e culturale.

Anche per Mazzini l’idea della nazione doveva rifondare la concezione della sovranità, che non doveva più risiedere nelle mani di un re, ma nelle mani della collettività politica che era designata come nazione, ma questa sovranità assumeva la componente della parentela, della famiglia, della stirpe: tutti termini intensamente utilizzati da coloro che costruirono il concetto di nazione nella prima metà del XIX secolo.

In questo modo il concetto di nazione rese impossibile una federazione europea delle nazioni.

Una lezione, quella della rivoluzione del 1848, che ci consente di capire come il risorgere di movimenti nazionalisti cui assistiamo in questi anni metta in discussione il fondamento di una comunità europea, in quanto molti movimenti neo nazionalisti che ci sono oggi in Europa vanno a ripescare proprio in questo archivio concettuale che appartiene al passato otto e novecentesco.

Riproduzione riservata © Il Piccolo