La vita di Teodoro Mayer in un libro: così Sabatti racconta l’uomo che con “Il Piccolo” inventò il giornale moderno

Esce a firma di Pierluigi Sabatti una biografia del giornalista che nel 1881 fondò il quotidiano più diffuso a Trieste. La presentazione del volume lunedì al Circolo della Stampa

Paolo Marcolin
Tedodoro Mayer (Trieste, 17 febbraio 1860 – Roma, 7 dicembre 1942) visto da Buno Chersicla
Tedodoro Mayer (Trieste, 17 febbraio 1860 – Roma, 7 dicembre 1942) visto da Buno Chersicla

TRIESTE Per avere successo servono idee brillanti, intuizioni geniali ed essere disposti a correre il rischio di buttarsi senza rete. Quando Steve Jobs fondò la Apple con i soldi ricavati dalla vendita del suo pullmino Volkswagen aveva 21 anni. Alla stessa età di Jobs, un secolo prima, nella Trieste asburgica uno squattrinato Teodoro Mayer aveva fondato un giornale per sbarcare il lunario.

Interrotti gli studi perché la sua famiglia della piccola borghesia ebraica disponeva di ben pochi mezzi, dopo aver dato vita a un giornale filatelico ed essere stato un pioniere della pubblicità con un foglio distribuito gratuitamente, Mayer registrò una nuova testata che, per quel suo formato ridotto rispetto agli altri fogli, quasi un tabloid in anteprima, chiamò “Il Piccolo”’.

Dopo 140 anni quel giornale esiste ancora, ha attraversato tre secoli, ha registrato e raccontato gli avvenimenti della Storia, li ha vissuti in prima persona, li ha interpretati e ha avuto l’ambizione di rappresentare una comunità. Fondatore ma anche direttore e proprietario per un periodo lunghissimo, fino al 1938, quando cioè le sue origini ebraiche non gli costarono la cacciata da parte del fascismo, Mayer è stato l’anima, la mente e il cuore dei primi cinquant’anni del “Piccolo”.

È cresciuto insieme alla sua creatura di carta, che ha pilotata con piglio deciso e battagliero sulle posizioni filoitaliane, ha creato un legame tra il giornale e Trieste che ha permesso a lui di scalare gradino dopo gradino il cursus honorum della politica, diventando via via più potente, e al giornale di conquistare un numero di lettori e un territorio molto vasto, dalla Venezia Giulia alla Dalmazia. Non poteva perciò esserci titolo più azzeccato che “Il Piccolo di Teodoro Mayer” per il racconto che Pierluigi Sabatti, giornalista, scrittore e Presidente del Circolo della stampa di Trieste, ha fatto della storia del giornale dalla fondazione al 1942, quando Mayer scomparve, ottantaduenne. Un racconto fatto con l’emozione di chi, come confessa Sabatti, ha passato al Piccolo “quarant’anni di vita professionale cercando di contribuire a renderlo una voce aperta a tutti i cittadini”.

Il libro, edito dall’Istituto regionale per la storia della resistenza e dell’età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (Irsrec, pagg. 104, euro 10), sarà messo in vendita con il giornale da mercoledì 29 dicembre, a 8,50 euro più il prezzo del giornale, e sarà presentato lunedì 27 dicembre alle 17, nella sede del Circolo della Stampa in corso Italia 13, primo piano. Dato lo scarso numero di posti è necessaria la prenotazione allo 040 370371 o all’e-mail info@circolodellastampatrieste.it entro le 12 di venerdì 24. Per accedere è necessario il Super Green Pass.

Sarà comunque assicurata un’ampia copertura in streaming dal sito del Circolo e da quello dell’Irsrec. Parteciperanno all’incontro lo storico Patrick Karlsen, il direttore de “Il Piccolo” Omar Monestier e l’autore. Introdurrà il vice presidente del Circolo, Luciano Santin.

Ma cosa trovarono i trentadue lettori che quel 29 dicembre 1881 furono disposti a spendere 2 soldi per comprare la prima copia del giornale? Tanta cronaca, nera e bianca, romanzi d’appendice e una forte impronta irredentista. Politica niente, perché non si poteva se non sborsando una grossa cauzione. Ma sottotraccia Mayer la politica la faceva, eccome. Esaltava tutto ciò che era italiano e trattava con distacco e freddezza tutto quanto veniva dall’Impero.

Per cui “Il Piccolo”, come scrive Patrick Karlsen nella prefazione al volume, “smise così di essere solo un giornale per assurgere presto a simbolo: specchio e catalizzatore delle divisioni di una realtà multiculturale frantumata ogni giorno di più dai nazionalismi”. Il quotidiano di Mayer divenne un giornale apertamente politico, schierato dalla parte del partito liberalnazionale. Era ‘piccolo’ ma sfidò un impero. Sequestrato, sospeso ripetutamente dalla polizia asburgica, il giornale si conquistò ben presto l’autorevolezza di più diffuso giornale di Trieste, come orgogliosamente potè scrivere sulla facciata della sede di palazzo Tonello, in piazza Goldoni, dove traslocò nel 1897. Legandosi al movimento irredentista, quello di Venezian, Mayer entrò nella Massoneria. Fu iniziato nella loggia Alpi Giulie di Trieste (che, proprio come “Il Piccolo”, esiste tuttora), una loggia segreta alle dirette dipendenze del Grande Oriente di Roma quale sezione della Loggia Propaganda.

Ma i tanti lettori, centomila prima della Grande guerra, erano attratti anche da altro. Dalla cronaca cittadina, per esempio, che aveva un occhio di riguardo agli argomenti che interessavano il pubblico femminile. “Mayer, scrive Sabatti, inventa una rubrica, tipo ’Un giorno in Pretura’, punta sui romanzi d’appendice e sui piccoli annunci economici e quelli detti ’galeotti’ dove si fissano appuntamenti, relazioni, promesse, versi amorosi, ma anche rimproveri e ripicche. Insomma un social ante litteram”. Cosa direbbe Mayer se potesse vedere come è diventata la sua creatura? “Sarebbe contento di noi”, è convinto il direttore di oggi, Omar Monestier, che firma la presentazione del volume: “era un innovatore nella comunicazione, anche se aveva scelto il mezzo più formale e meno brioso per irrompere sulla scena”. Innovatore eppure poco brillante, Mayer non è stato un personaggio carismatico. Taciturno e scostante, scriveva poco, parlava poco, non sorrideva e si nascondeva dietro occhiali a specchio. Eppure ha saputo rovesciare a suo favore anche questo tratto ruvido. L’editoriale del primo numero del giornale: “saremo indipendenti, imparziali, onesti. Ecco tutto”, resta un capolavoro di storia del giornalismo per concisione e per chiarezza.

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