«La felicità abita a Grado»: esce il manuale tedesco con le lezioni sul Bel Paese
TRIESTE Lo scrittore e giornalista tedesco Stefan Maiwald, nato nel 1971 a Braunschweig, è un autentico entusiasta dello stile di vita italiano, tanto che da vent’anni ha scelto di vivere in Italia, più precisamente a Grado. L’anno scorso il suo libro “Das Italien-Prinzip: so geht Glück” è stato un bestseller in Germania e ora ne è uscita la traduzione italiana a cura di Emma Lenzi e Costanza Fabrissin col titolo “Lezioni italiane: Vivere felici studiando il Bel Paese” (Edizioni Leg, pp.167, euro18). Oltre a libri di 'self-help' sulla gestione della vita in famiglia, manuali di cucina e travelogues, Stefan Maiwald è anche autore della trilogia "Der Spion des Dogen", romanzi storici ambientati a Venezia. Nelle sue “Lezioni italiane”, armato d'una straordinaria passione per ogni aspetto del nostro “savoir vivre”, di dati statistici, di citazioni e riferimenti a italiani più o meno illustri, Maiwald cerca con tale simpatia di convincere i suoi compatrioti (tedeschi) che la felicità abita da questo lato delle Alpi che alla fine vorremmo crederci anche noi.
Stefan Maiwald, Lei vive a Grado da vent'anni. Non si annoia mai?
«Mai! Amo il mare, amo la confusione dell’estate e amo anche il silenzio dell'inverno. In generale mi piace l'alternanza tra caos e quiete. Per esempio, credo che vivere a Venezia, nonostante la sua bellezza unica, possa essere un incubo, proprio perché non esiste un 'fuori-stagione', una pausa per respirare. Ho vissuto tanti anni nelle grandi città, e ho capito che la vita in piccole realtà è più adatta a tutti».
Cosa ci può dire della sua trilogia “Der Spion des Dogen”?
«Ho avuto l’idea di portare un personaggio simile a James Bond nel '500, adattandolo agli usi e costumi dell’epoca. Non dimentichiamo che Venezia, dal 1300 al 1600 è stata la città più ricca, più interessante, più internazionale, più all'avanguardia, e forse anche più corrotta del mondo».
La sua ammirazione per il nostro stile di vita è encomiabile. Ma le spiagge, i lunghi aperitivi, le grandi cene in compagnia, lo scegliersi il lavoro che più piace, sono per tanti italiani un sogno, in particolare per chi vive nelle periferie delle grandi città...
“Sì, sono sicuro che ci siano posti in Italia dove la vita è un incubo. Ci sono tanti problemi ancora da risolvere. È difficile immaginare un'esistenza in contesti sociali che offrono poche chance ai giovani per migliorare la propria condizione. Ma queste realtà esistono anche in altri paesi, addirittura in Germania o in Svezia, per non parlare delle banlieue di Parigi dove ho vissuto quando ero studente. Ci sono situazioni sociali inaccettabili e la politica dovrebbe fare tutto per evitarle, però, ripeto, non è un problema solo italiano, bensì mondiale. Comunque, resto dell'idea che in Italia si viva meglio che in tanti altri paesi del mondo”.
La felicità, secondo quanto Lei scrive, è legata alla buona cucina italiana. Un bel piatto di spaghetti redime qualsiasi contenzioso e assicura gioia e serenità a tutti. Allora perché sempre più italiani si cibano di deprimenti e infidi “Poke”?
«Facile: il Poke è un marketing geniale. Si tratta di fast food che “non fa ingrassare” e addirittura “accresce i muscoli” (L’ho sentito oggi su un canale della TV nazionale!) L’Italia ha sempre avuto un problema con il marketing. È per quello che tutti parlano della cucina e del vino francese. O del Sushi. O del Poke.”
Nelle sue “Lezioni Italiane”, lei sostiene che la struttura della “grande famiglia” è un elemento essenziale per chi aspira a essere felice, compreso pranzo domenicale d'ordinanza... che per alcuni è invece un autentico tormento...
«Sono sicuro che ci sono persone che soffrono del peso della propria famiglia, ma sono anche convito che nel mondo moderno, che richiede flessibilità, mobilità e di non mettere mai radici, siano tantissime le persone che soffrono per il distacco totale della loro madrepatria. Innumerevoli studi hanno rilevato che, generalmente, il legame familiare fa molto bene a tutte le generazioni, giovani compresi».
La sua famiglia tipo italiana sembra godere d'una mole infinita di tempo: impasta il proprio pane, si concede sieste quotidiane, canta (probabilmente per dimenticare le bollette da pagare) e non si preoccupa più di tanto. Non è un po' troppo utopica?
«Suvvia, il canto non l´ho mai nominato, soprattutto perché nella mia famiglia nessuno sa cantare...».
In Germania e in Austria ci s'imbatte spesso in persone che sono molto più eleganti di schiere d'italiani in calzoncini, T-shirt e infradito. Quello degli italiani eleganti è ormai un mito del passato?
«Sì, purtroppo ultimamente vedo tanti italiani che si vestono male… Mentre i tedeschi e gli austriaci hanno imparato qualcosa. Però adesso arrivano gli ungheresi, cechi, croati – quindi gli italiani rimangono in generale i più eleganti».
Le sue “Lezioni”, più che ai lettori tedeschi (che non cambieranno mai), sono forse più utili ai lettori italiani, per ricordare loro quello che “potrebbero” essere?
«Ieri qui a Grado una mia vicina italiana mi ha fermato per strada. Aveva le lacrime agli occhi e ha detto che il mio libro le ha dato l’autostima di cui aveva bisogno. Per me, come scrittore, è stato uno dei momenti più felici».
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