Il tempo si è fermato nelle vecchie botteghe dove andava James Joyce

TRIESTE Anni fa, durante un periodo di ricostruzione biografica della presenza di Joyce a Trieste (1904-1920), mi è capitato di immergermi nella città austriaca scoprendo la presenza di molti esercizi commerciali, alcuni trasformati nel tempo, altri rimasti intatti. Tra questi luoghi, ovviamente, sono preponderanti i negozi e i bar, i ristoranti e le osterie, le librerie e persino le pasticcerie (come Pirona).
Per esempio, facendo riferimento al periodo in cui Joyce abitò in via Bramante 4, dal settembre 1912 al giugno 1915, mi è capitato di studiare la casa in cui visse con la moglie Nora e con i figli. Un edificio tuttora esistente, che al piano viario presentava tre negozi: un’osteria “abilitata alla vendita di vini da asporto”, un negozio di rilegatoria con annessa una cartoleria, e una latteria con il curioso nome di “Latteria Nuova York”. Di quei negozi è rimasto solo il bar/osteria, che da poco è stato significativamente rinominato “Alla scaletta Joyce”. Ebbene, quell’osteria di via Bramante (seppur recentemente trasformata) rappresenta un interessante sito culturale-letterario della città, proprio perché fu parte della quotidianità dello scrittore.

Scenografie preziose
Del resto, basta guardare le immagini d’epoca della città, a cominciare da quelle del centro storico, da Corso Italia a via Dante a via San Nicolò, per capire quanti erano in quell’area i negozi di tutte le fogge, adatti a soddisfare le esigenze commerciali dei triestini. Per fare un altro esempio, tra le botteghe d’epoca va sicuramente citata la “premiata ditta” Toso del 1906, sita in piazza San Giovanni.

La sua struttura è esattamente quella di cent’anni fa, e al suo interno le scaffalature e il senso dello spazio espositivo sono affidati alla curiosità dell’acquirente e suscitano una grande emozione in chi vi entra. Il soffitto alto, i ripiani in legno, le isole di merce al centro del negozio, i quadri, le insegne, le scritte: tutto riproduce l’atmosfera del tempo passato. Ancora oggi Toso ci mostra una scenografia preziosissima, costituendo una straordinaria “location” per un film in costume, per una ricostruzione della Trieste d’antan.

L’elenco di negozi e locali conservatisi negli ultimi cent’anni non è lungo, anche includendo i caffé letterari, dal San Marco al Tommaseo al Caffé degli specchi. Ma non ne mancano di certo.
Una chicca nascosta
Un ulteriore esempio è dato dallo spettacolare negozio di scarpe Rosini (quello antico), sito in via Dante e risalente al 1914. La sua costruzione architettonica è tutta Liberty e si presenta come uno spazio teatrale capace di celebrare il commercio. Tutto lo scenario è sontuoso, dominato dalla grande scala centrale in legno incorniciata da una raffinata boiserie dietro cui si aprono le quinte istoriate che portano a una balconata, tra specchi che proiettano — quasi un trompe l’oeil — il palcoscenico in una prospettiva accattivante.

La cultura della conservazione, specie in una città come Trieste, va sempre alimentata in modo che possa generare la salvaguardia dell’esistente ma anche stimolare nuove ricerche e nuove consapevolezze alla riscoperta di un passato… industriale.
Infatti, nel patrimonio culturale della città vanno incluse anche le sue presenze commerciali: vale a dire i suoi negozi che testimoniano professioni e attività ormai scomparse, oppure solo trasformate.
Narrazione emporiale
Dunque sarebbe utile “tracciare” questi luoghi (cioè ricostruirli storicamente) per fornire al turista anche una mappa delle attività economiche. Bene ha fatto, in questo caso, il Comune di Cividale, che nelle viuzze del centro ha collocato, accanto ai nuovi locali, una serie di targhe degli antichi negozi, targhe provviste di schede con notizie e immagini d’epoca (nonché le foto dei primi proprietari).
Perché a Trieste la narrazione letteraria — testimoniata non soltanto da Joyce, Svevo, Saba, ma da tutti gli autori triestini che li hanno seguiti, arrivando fino a Magris — va anche affiancata a un’altra narrazione: quella emporiale (a tutti i livelli). Infatti, è innegabile che un’antica bottega debba essere, a buon diritto, considerata alla pari di un monumento storico, come espressione di un concetto di cultura allargato alla sfera — certo meno eclatante e più popolare — della vita quotidiana di ieri e di oggi. —
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