I numeri arabi scacciano quelli romani: nei musei una scelta a favore dei visitatori
È bizzarro che proprio il Museo Carnavalet di Parigi abbia deciso di sostituire i numeri romani con le cifre arabe sulle didascalie delle opere: «Per non creare ostacoli alla comprensione dei visitatori», ha dichiarato Noémie Giard, la sua curatrice. Ed è stata subito polemica. Strano, si diceva, perché proprio lì, in quel museo del Marais parigino, sono conservati gli arredi dello scrittore che per eccellenza ci ha insegnato come il cuore della vita sia la memoria, cioè Proust. Ma insomma Giard pare avere altri problemi, perché non solo leggeremo Luigi 14, anziché XIV, ma pure i testi delle sale subiranno un bel restyling: 1000 caratteri per gli adulti e non oltre 500 per i bambini. D’altra parte l’iniziativa era già partita dal Louvre, quando ha deciso di usare i numeri arabi per indicare i secoli.
Massimo Gramellini ha subito strillato alla catastrofe culturale, così altri intellettuali non hanno messo veli all’appiattimento in cui il mondo sta precipitando, tanto da proporre ironicamente una legge che imponga l’analfabetismo. Certo è facile puntare il dito su ciò che pare solo la punta dell’iceberg. «Il caso del museo Carnavalet di Parigi solleva una questione che è più ampia della rinuncia ai numeri romani, ed è quella della “fruibilità”», osserva Giovanni Grandi, professore di Filosofia morale all’Università di Trieste ed esperto di comunicazione. «Nell’epoca del visuale - commenta - il Carnavalet ha deciso di fare un passo verso i visitatori. In questo modo si perde qualcosa, forse molto. Ma il rischio è quello di perdere tutto e di lasciare che i musei, per effetto del progressivo disimpegno nella formazione scolastica, diventino luoghi capaci di “parlare” solo a pochi. La realtà museale non credo ci stia dicendo che i numeri romani non siano importanti, ma che non può farsi carico di colmare certi vuoti formativi. Se non recupereremo terreno nella formazione umanistica di base, l’ipersemplificazione delle informazioni sarà purtroppo l’unica alternativa alle visite che si risolvono in una rapida occhiata».
Scelte che evocano una rinnovata barbarie, è quello che pensa l’assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli: «Dalla stupida damnatio ex post di chi abbatte statue di George Washington all’ancor più stupida decisione della Disney di autocensurare la propria produzione perché sessista. Ricordo - dice - che per decenni il mondo intero ha prodotto tonnellate di sarcasmo sullo stalinismo che truccava la storia, e dunque constato che siamo tutti in preda non a una “nouvelle vague” ma a una “barbare vague” che crede che rimuovere pezzi di storia dell’umanità significhi cancellarli. Un po’ come in piccolo faceva Stalin».
E così i francesi sembrano decisi a cancellare pure una parte della loro identità, se è vero che “Gallo-Romani” è la didascalia presente sulle targhe degli anfiteatri di matrice inequivocabilmente imperiale sparsi in tutta la Francia. «Censurare la storia nei luoghi della storia rappresenta un enorme paradosso: i francesi in tal caso negherebbero la loro stessa cultura – conferma il vicesindaco Paolo Polidori – perché la Gallia fu per secoli Provincia Romana».
Risoluto pure Maurizio Cucchi, poeta tra i più riconosciuti e che, in era pre-Covid, risiedeva gran parte dell’anno in Francia: «Potremmo definirla la dittatura dell’ignoranza, che è anche un titolo di Giancarlo Majorino. Si abbassa il livello per raggiungere le masse anziché elevarle, e poi si arriva a soluzioni kitsch come questa dei numeri romani».
Paolo Cammarosano, storico del medioevo e già docente all’Università di Trieste, riconosce infine che i toni della polemica possano essere eccessivi, fatta salva l’utilità di conoscere la numerazione romana: «Ci sono a mio giudizio ben altri fenomeni di inutile semplificazione e omogeneizzazione. Il tono di “Annibale alle porte” mi pare francamente ideologizzante. Penso che la promozione della cultura non si persegua eliminando le cose difficili ma spiegandole in modo facile. I musei e le gallerie francesi avrebbero bene i mezzi per distribuire piccoli cartoncini o guide dove si spiegano i numeri romani, che non sono poi tanto difficili. Come sarebbe una bella promozione di cultura spiegare l’avvento dei numeri arabi». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo