I mille volti di Trieste nell’antico archivio digitale che fotografa l’Italia

L’immenso patrimonio iconografico dell’Alinari, azienda fondata a Firenze nel 1852 conserva immagini della città in varie epoche firmate da professionisti dell’obiettivo 

TRIESTE Centinaia di fotografie dedicate a Trieste, ai suoi cantieri, alle fabbriche, alle costruzioni di palazzi e case popolari. Ma anche a personaggi che con la loro attività si sono messi in luce nella vita cittadina. Pittori, attori, musicisti, architetti, imprenditori, sportivi, giudici, militari, famiglie sono presenti nell’archivio digitalizzato della Fratelli Alinari di Firenze, da poco passata in mano pubblica, quella della Regione Toscana che si è fatta carico di salvare un patrimonio culturale che rischiava di finire all’estero o di andare disperso in mille aste.

In questo enorme archivio di Firenze, Trieste, i suoi fotografi e i suoi personaggi pubblici e talvolta privati, sono rappresentati da un buon numero di importanti immagini. Oltre a quelle già note realizzate da Giuseppe, Carlo, Marion e Wanda Wulz a cui sono stati dedicati anni addietro dalla stessa Alinari un paio di libri che si affiancano a quello che illustra l’attività dello studio Pozzar, nell’archivio digitalizzato toscano compaiono i nomi e le fotografie di Carlo Wernigg, Mario Circovich, Francesco Penco, Emilia Manenizza, Ferruccio Demanins, Giovanni Cividini, Wilhelm Engel, Biagio e Giuseppe Padovan, Ugo Horn, Giuseppe Franceschinis.

A ognuno di questi professionisti dell’obiettivo è dedicata una breve scheda informativa e a ogni loro immagine è affiancata una nota tecnica in cui compare anche il nome di chi ha eventualmente regalato questa fotografia all’Alinari.

In questo giacimento sono presenti anche importanti fotografie scattate da non professionisti. Tra queste spicca la firma di Riccardo Camerini che ha puntato il suo obiettivo su tutte le fasi dell’imbarco di emigranti ebrei diretti in Palestina negli anni Venti e Trenta. Da Trieste partirono 150 mila persone assistite dall’Agenzia ebraica.

“In compagnia di due uomini e del figlio del fotografo, il rabbino Hassid, profugo polacco, si avvia all’imbarco sul piroscafo Vienna”. Si legge nella didascalia scattata su una banchina del Porto vecchio, mentre altre immagini sono state realizzate a bordo di navi del Lloyd triestino. “Il ponte di una nave su cui è ritratto un gruppo di emigranti per la Palestina. A destra è riconoscibile il dottor Carlo Morpurgo, segretario della comunità israelitica di Trieste” si legge nella nota che accompagna l’immagine. Morpurgo di lì a qualche anno sarebbe stato prima rinchiuso nel carcere del Coroneo per essere poi trasferito e assassinato ad Auschwitz nel novembre del 1944. Quando i nazisti avevano occupato Trieste non aveva voluto abbandonare il suo posto di segretario della comunità.

Altre foto che raccontano momenti tragici della storia di Trieste sono state realizzate nel 1953 da Fedele Toscani, padre di Oliviero anche lui fotografo più che noto. Queste immagini mostrano numerosi momenti della rivolta della città e degli scontri fra triestini e agenti della Polizia civile organizzata e diretta da ufficiali agli ordini del generale britannico Charles Winterton. I poliziotti spararono sulla folla, entrarono con le armi e gli idranti nella chiesa di Sant’Antonio Nuovo: sei furono i morti, decine e decine i feriti. L’obiettivo di Fedele Toscani ha anche raccontato i funerali delle vittime e la coralità dei cittadini che si strinsero in massa e in religioso silenzio attorno alle famiglie degli uccisi.

Altre immagini di funerali presenti nell’archivio digitale degli Alinari – e note da tempo – sono quelle che raccontano il corteo funebre che seguì lungo le vie della città i feretri dell’arciduca d’Austria ed erede al trono Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia assassinati a Sarajevo nel 1914. Sono immagini realizzate da Carlo Wulz e si affiancano a quelle firmate di Francesco Penco e Mario Circovich.

Di diverso se non opposto contenuto sono i reportage realizzati durante la costruzione di edifici. Importante è il lavoro di Carlo Wernigg che documenta i lavori di realizzazione delle abitazioni dell’Incis di viale Regina Elena, oggi viale Miramare. Le fotografie raccolte in un “album”, consentono di scoprire l’organizzazione del lavoro e gli strumenti tecnici in uso alla fine degli anni Venti. Il cantiere brulica di operai e manovali; decine e decine di uomini spingono carriole, usano pale e picconi. Non si vedono gru perché i carichi pesanti vengono sollevati da un argano posto su una tozza torre di legno. Non si vedono camion ma solo carri tirati da cavalli. Sono usati travi in cemento armato ma il mattone la fa ancora da padrone. La malta viene preparata in loco con piccole betoniere. Sullo sfondo, al di la del viale, sono visibili gli edifici della Stazione Centrale e il fumo di alcune locomotive.

Un altro servizio firmato dallo studio Mioni è dedicato all’Arsia e al villaggio per minatori progettato dall’architetto Gustavo Pulitzer Finali, inaugurato nel 1937; negli anni Venti Pulitzer era punto di riferimento per gli armatori della famiglia Cosulich. Sono sue alcune realizzazioni di saloni della Saturnia e della Vulcania, ed è suo l’intero progetto di allestimento interno della motonave Victoria, del Conte di Savoia della Neptunia e Oceania. “Navi e case – architetture interne 1930-1935”, un libro oggi quasi introvabile rappresenta la sintesi delle sue idee. Al villaggio dell’Arsia si affianca – sempre con la firma di Gustavo Pulitzer, ma anche di Cesare Valle e Ignazio Guidi – quello di Carbonia: la miniera, la casa e la grande piazza centrale raccontano quale fosse il modello urbanistico di quell’epoca: una rigida gerarchia sociale dove le classi dirigenti e impiegatizie erano collocate al centro della città e le classi operaie e dei minatori sistemate lontane dal centro politico e amministrativo. —
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo