I Delta Moon dagli Usa a Trieste: «Il blues dà voce alle emozioni»

TRIESTE «Qualche anno fa ho letto sul “New York Times” un articolo su Trieste e desideravo visitarla. Così, in tour sulla strada per Belgrado con alcuni giorni liberi, mia moglie Jennifer, che è la nostra road manager, prenotò tre giorni in città»: nel 2016 il chitarrista Mark Johnson e i suoi Delta Moon scoprirono Trieste, da turisti. La blues band americana torna questa sera alle 20.30 in piazza Verdi, per un concerto organizzato da Yeah (nel cartellone di Trieste Estate); in apertura i Sarajevo Tango e Mik. «Eravamo arrivati tardi, era il weekend di Pasqua, molti posti erano chiusi – continua a raccontare Johnson – ma Monica ci accolse da Marise Osteria con Cucina. Poi incontrammo l’amico Marco Valvassori di Yeah, uomo chiave, responsabile del live di oggi, registrammo una session per il suo programma “Closing Time” e ci portò in giro. Abbiamo trascorso splendidi momenti, in una città bellissima».
Questa volta arrivate per un concerto.
«Siamo felici: sarà uno show coinvolgente, la nostra versione dei generi southern roots e Americana, con un sacco di chitarra slide».
Cos’è per voi il blues?
«Ha a che fare con il sentimento che metti nel suonare. È un’emozione. Ogni musica che sia vera e onesta, fatta con cuore e anima, ha del blues in sé. È alla base di tutta la buona musica americana. All’inizio studi i tuoi modelli di riferimento e cerchi di imitarli, ma poi sviluppi il tuo stile».
Il vostro punto di forza?
«Siamo un ensemble, ognuno con il suo ruolo e lasciamo spazio all’altro, così ogni singola parte si completa e confluisce in un suono unico. Al pubblico piacciono i nostri dischi ma ancor più i nostri live».
L’ultimo album, “Babylon is Falling”?
«Alcune canzoni sono una fotografia di come ci sentivamo nel momento in cui le abbiamo scritte. Preoccupati e disgustati da alcune cose che stavano accadendo nel nostro paese. Il nostro attuale presidente: com’è potuto accadere? Non siamo una band politica e certe canzoni sono leggere, ma sentivamo di dover prendere posizione. Speriamo qualcosa di buono possa venir fuori da questo periodo davvero strano».
Avete collaborato anche con musicisti italiani?
«Siamo legati all’Italia, quella al Rootsway Blues Festival di Parma nel 2008 fu una delle prime tappe europee. Qui conosciamo tanti artisti: Paolo e Marco Xeres degli Alligator Nail e Baraccone Express, Enzo Tropepe e The Walking Trees, Marco Corrao, Max Arrigo e i Nandha Blues, Max Prandi, Red Light Band. Enzo, Marco e gli altri dei Nandha sono stati miei ospiti ad Atlanta, Georgia: ho organizzato alcune loro date negli Usa, il pubblico americano li adora. Paolo Xeres ha suonato spesso con noi in tour, e sarà alla batteria anche questa volta».
Di recente avete tenuto un concerto in un carcere in Germania. Com’è andata?
«Avevamo già suonato in alcune carceri con regimi meno duri e avevamo avuto la sensazione di aver donato dei momenti di svago ai detenuti. Questa volta il clima ci ha un po’intimiditi, siamo rimasti scossi».
State già pensando al prossimo disco?
«Ad agosto ci ritireremo tra i monti del North Carolina per comporre, contiamo di farlo uscire a primavera». —
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