“Gli spaesati” terroni di Enzo D’Antona emigrano dalla Sicilia in cerca di riscatto

Il giornalista, già direttore de “Il Piccolo”, racconta i viaggi della speranza dal Sud al Nord Italia con una variegata galleria di personaggi  
Migranti in partenza per il Nord Italia. Nel libro “Gli spaesati. Cronache del nord terrone” Enzo D’Antona racconta storie di siciliani emigrati al Nord
Migranti in partenza per il Nord Italia. Nel libro “Gli spaesati. Cronache del nord terrone” Enzo D’Antona racconta storie di siciliani emigrati al Nord

Non sei un emigrante se il tuo viaggio, da Sud a Nord, dura meno di 24 ore. Una parola qualifica questo emigrante: “terrone” il cui corrispettivo “polentone” attribuita di rimando alla gente settentrionale non riesce a rendere pan per focaccia la stessa carica di disprezzo.

Dipende dal fatto che questi viaggi della speranza sul Treno del Sole che nulla ha di solare, raccontati da Enzo D’Antona, già direttore del Piccolo, ne “Gli spaesati. Cronache del nord terrone” (Zolfo, pagg. 197, euro 17) sono impregnati dell’odore di smarrimento di chi parte con il portafoglio vuoto e il timore di non farcela.

D’Antona tralascia le filippiche sulla devastazione economica, sociale e culturale che ha depauperato il Sud e abbraccia la cronaca umana. In questo suo scritto spumeggiante d’ironia, parte romanzo e parte saggio antropologico, ricostruisce uno spaccato d’Italia attraverso i destini di un esemplare pugno di amici. Come lui oriundi dell’immaginario paese di Iudeca, in provincia di Caltanissetta, cresciuti in una palazzina popolare, Ghezio, Crocifisso, Fernando, Liborio, Gnazio, Aurelio, Milziade, negli anni Settanta se ne vanno alla spicciolata. È la seconda ondata: non più manovali senza istruzione ma diplomati o studenti universitari che hanno chiara solo una cosa: in Sicilia non c’è lavoro.

Partono, non più fuga dalla miseria di un quarto di secolo prima, ma patita come l’ingiustizia sociale di una deportazione. Stavolta sono consci della banalità del male che li attende, smaliziati dalle esperienze della precedente generazione e sempre vittime dalla speranza di ‘solo qualche anno’. Spaesati prima ancora di far la valigia.

Ai tempi del boom economico, chi era magari diventato operaio a Torino aveva preparato il terreno a familiari dotati di un altro enorme bacino di familiari, finendo per colonizzare territori altrui e aizzare così i pregiudizi. Funzionava a cooptazione, dato che alcune grandi aziende bisognose di manodopera utilizzavano a volte i propri dipendenti meridionali come reclutatori nei paesi d’origine. Fagocitati dall’insaziabile “triangolo industriale”: alla Fiat, all’Ansaldo, all’Italsider, all’Alfa Romeo, alla Pirelli e a maggior ragione nell’edilizia come muratori, per poi esserne risputati fuori con la crisi iniziata nel 1978. Questa la cronaca nuda e cruda, di braccia senza volto che al più hanno fatto statistica.

Esiste però anche la zona grigia, più lussureggiante e inesplorata, dell’emigrazione borghese di cui lo stesso D’Antona, giornalista a Milano, Roma, infine a Trieste, fa parte. Di chi vinceva i concorsi, alla Poste, alle Ferrovie, nelle cancellerie dei tribunali, in uffici pubblici e statali, a cui D’Antona un volto finalmente lo dà in un florilegio di avventure umane.

Come quella dell’amico Fernando, iscritto dal padre al prestigioso quanto altezzoso liceo torinese D’Azeglio, ovviamente ospite degli zii della precedente emigrazione. E come poteva finire il diligente, condannato all’apartheid, allievo, se era lo stesso istituto che rimandò in italiano Primo Levi e la Pivano? Pluribocciato. Fernando torna a casa per essere acclamato a Caltanissetta poco meno che come un fine grecista. Poi si laurea in medicina, poi diventa dentista con studio proprio a Torino. Tiè. Abbattuto un altro stereotipo: non più solo questori, prefetti e carabinieri, ma anche liberi professionisti.

Non c’è revanscismo nel racconto che D’Antona fa di questi destini i quali si rinsaldano l’uno con l’altro avvinti in rapporti familiari a catena di Sant’Antonio, che si intrecciano improvvisando reti di salvataggio per i funamboli dell’esodo. Indecifrabili ai razzisti ‘polentoni’, i cui riferimenti valoriali si sono liquefatti, sono tacciati come mafiosi. Invisi ai neonati leghisti che ringhiano contro i burocrati, i nuovi nemici acculturati sostituiscono le odiate braccia: sempre del Sud sono. Qualcuno nel Po ci casca. Fulippo l’anello mancante darwiniano tra iudecani e milanesi, passa al campo avversario, il più camicia verde di tutti quando a Bari nel 1991 sbarcano 20 mila albanesi. Ma c’ è chi compie il percorso inverso, dalla Padania alla Terronia, Pino Garofolo, nato a Cinisiello Balsamo, ingegnere minerario.

Ariose, le digressioni inserite da D’Antona scandiscono il susseguirsi dei governi, gli atti terroristici, gli attentati mafiosi, gli indicatori economici del fossato che si allarga tra Nord e Sud, dove i coccodrilli adattano il loro habitat. A volte l’intuizione popolare del “rapporto uno a tre” coglie il punto dello squilibrio di ricchezza e opportunità tra le due Italie divise anche dallo Stretto, più di un trattato finanziario. Don Nunzio Sanguedolce di Sesto San Giovanni, futuro pezzo grosso del Vaticano, coordinatore di tutti i viaggi organizzati nei luoghi santi, ha l’illuminazione nella mensa della Bocconi, tre uova al tegamino invece di uno come in Sicilia. “In quelle due uova in più c’è tutto il divario tra Nord e Sud. Infatti qui si guadagna il triplo e si consuma il triplo”. Ma siamo nel fulgido periodo della craxiana Milano ‘da bere’.

Nel Sud prosegue imperterrita la mattanza della popolazione nei paesi e nelle città che riversa le sue forze migliori per arricchire quel Nord incanaglito. Gli uomini - ogni giorno partono 367 persone - non sono cifre: sono memorie, tradizioni, sentimenti, parenti, terra. All’inizio saranno pendolari, ma pochi torneranno e molti si insedieranno al Nord, spaesati. —


 

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