Etica pubblica ai tempi della pandemia, il libro del prof. Giovanni Grandi: «Impariamo dal bambino che ha chiesto scusa per la pianta rotta»
TRIESTE Come usciremo dalla pandemia? Al momento la condivisione di sofferenza, fragilità e paure, non sembra averci reso persone migliori. E «l’unica cosa peggiore dell’aver attraversato un’esperienza collettiva drammatica è l’averla attraversata invano, senza trarne nulla, senza riuscire a cambiare nulla di quel che sperimentavamo prima in qualcosa di meglio». Riflessione amara quella di Giovanni Grandi, professore di Filosofia morale all’Università di Trieste. Eppure condivisibile. Del resto, di fronte a questa sfida globale, c’è chi è più propenso a urlare alla dittatura (sanitaria) anziché comprendere l’opportunità di adottare alcuni comportamenti e accettare alcune rinunce per il bene comune.
E allora, se l’etica non è il termometro perfetto di ciò che è giusto e sbagliato, ma una sorta di bussola che dovrebbe indirizzare i nostri comportamenti nel rispetto di quelle regole essenziali per la convivenza, è lecito chiedersi se l’etica pubblica stia vacillando. E ancora: se l’etica è da intendersi come una pratica, come la pratica dell’interrogarsi sull’opportunità e sulle conseguenze del proprio agire, dovremmo forse impegnarci a esercitarla di più. Giovanni Grandi invita a farlo proponendo nove lezioni di etica pubblica nel libro “Scusi per la pianta” (Utet, pagg. 128, euro 12).
«In effetti l’etica pubblica vacilla» commenta. «Non siamo abituati a ragionare in termini di bene comune. La responsabilità ci pare ovvia e doverosa quando la chiediamo agli altri, ma quando è in capo a noi scopriamo quanto sia faticosa e quanto siamo tentati di non assumercela». In altre parole, diamo per scontato che i valori fondamentali della convivenza civile si traducano in diritti, ma sottovalutiamo che comportano anche dei doveri nei confronti degli altri. «E proprio in questo squilibrio tra diritti e doveri si innesca la crisi dell’etica pubblica». E la socialità, dentro e fuori la rete, si riempie di diffidenza, sospetti, aggressività.
«Durante il primo lockdown ci siamo scoperti solidali, tutti insieme a cantare sui balconi». Una solidarietà che Grandi definisce istintiva: «avvertivamo il pericolo e il bisogno di essere tutti sulla stessa barca. La seconda fase invece ci ha trovati distanti e amareggiati. La percezione degli altri è cambiata: da persone con cui solidarizzare sono diventate persone con cui contendersi le risorse». E di fatto, anche se non vediamo macerie materiali - «non ci sono case crollate, non ci sono elementi plastici che ci restituiscono la drammaticità della situazione» - questa pandemia si sta lasciando dietro una scia di macerie sociali: la perdita di vite umane, di lavoro, di relazioni, di possibilità. «E assistiamo a una deriva violenta che si sfoga con la parola, con l’aggressività verbale». E l’aggressività rende tossici gli spazi di socializzazione, anche quelli online, che oggi più che mai sono importanti e da salvaguardare visto il diradarsi delle relazioni fisiche.
Forse proprio per questo, il biglietto di scuse che dà il titolo al libro, lasciato da un undicenne dopo aver colpito una pianta giocando a calcio nel giardino condominiale, ha suscitato grande attenzione. È stato proprio Giovanni Grandi, lo scorso 17 giugno, a condividere con un tweet questa storia semplice di un condominio di provincia: tweet che ha conquistato le pagine dei giornali ed è rimbalzato su tutti i social. «Un microepisodio di sussulto etico dentro una macroparabola collettiva di risveglio morale». Grandi ha accolto con stupore l’eco del tweet, e l’ha trasformato in un pretesto per riflettere. Perché in fondo anche le scuse di un bambino, mortificato per aver combinato un piccolo guaio, possono ricordarci che le virtù morali vanno nutrite, allenate e rinforzate attraverso la pratica continua. Per arginare l’indifferenza e una deriva violenta. Per far sì che il disimpegno e la violenza non parassitino nel nostro agire, inquinando il confronto con gli altri. Per far sì che si ritorni ad avere cura di noi stessi e del mondo, di ciò che è comune.
E così sono nate le sue nove lezioni che si concludono con un quesito: «Saremo in grado di farne un'occasione di crescita dal punto di vista dell’etica pubblica?». Inutile dirlo: Grandi lo auspica. E confida che nella coda di questo trauma collettivo useremo il tempo per riflettere, curare la qualità delle parole con cui narrare le macerie invisibili e correggere i nostri stili di vita, «che pur garantendo comodità e benessere, hanno in definitiva giocato contro di noi», rendendoci più vulnerabili nei confronti di questo e altri virus che verranno se, incuranti, continueremo a non pensare al bene comune, nostro e dell’ambiente.
Il messaggio è chiaro: è il tempo di avere attenzione, progettare e agire, come singoli e come comunità. «Si tratta di una sfida culturale, che come adulti dobbiamo affrontare con uno sforzo di trasparenza ed empatia verso i giovani. Li abbiamo lasciati soli - conclude -. Abbiamo parlato loro di Dad, ma non abbiamo detto loro che avremmo dovuto affrontare insieme delle fatiche, non li abbiamo coinvolti in un’impresa morale comune. La parola degli adulti verso i giovani deve essere franca: noi cerchiamo di eliminare la fatica dalle nostre vite, invece dovremmo renderla cittadina perché è dallo sforzo comune e da un tessuto di valori condivisi che possiamo costruire qualcosa di positivo e salvaguardare il bene comune». —
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