A Trieste la Lezione di Storia su Emma Bovary e la morale borghese

Domenica 26 gennaio al Teatro Verdi il quarto appuntamento della rassegna della Laterza: Alberto Mario Banti analizza il personaggio letterario creato da Gustave Flauber

Paolo Marcolin
Il personaggio di Emma Bovary creato dallo scrittore Gustave Flauber in una stampa del 1857 Mary Evans / AGF
Il personaggio di Emma Bovary creato dallo scrittore Gustave Flauber in una stampa del 1857 Mary Evans / AGF

Lo straordinario successo di un intramontabile long seller come “Emma Bovary” si misura dal numero di film e di serie tv dedicate al personaggio creato da Gustave Flaubert. Non solo, il termine “bovarismo” è entrato nei vocabolari per indicare un atteggiamento che rifugge il reale per viaggiare con la fantasia.

Toccherà ad Alberto Maria Banti, docente di Storia dell’Età contemporanea all’Università di Pisa, entrare nelle pieghe dell’anima di Emma e del suo autore nella Lezione di Storia in programma domenica 26 gennaio alle 11 al Teatro Verdi (ingresso libero fino a esaurimento dei posti).

Il ciclo di Lezioni, ideato dagli editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste e media partner “Il Piccolo”, passa in rassegna quest’anno una galleria di donne forti, che hanno saputo conquistare un posto di rilievo nella società del loro tempo, spesso dovendo lottare con gli uomini, e da qui il titolo scelto per il ciclo, La guerra dei sessi. Nonostante non sia un personaggio realmente esistito, Emma Bovary è stata modellata dalla penna di Gustave Flaubert con un’analisi così profonda da renderla reale.

Emma Bovary è una donna fatua, persa in fantasie romantiche fondate sui romanzi rosa: come è possibile che questo personaggio abbia riscosso tanto successo?

«Perché Flaubert riconosce a Emma momenti di consapevolezza sorprendenti, che se si legge il libro distrattamente non si riesce a cogliere, ma ci sono. Nel mio intervento sottolineerò le fragilità di una donna ma anche le capacità di intuizione che questa figura femminile ha di comprendere se stessa e l’ambiente nel quale vive».

Flaubert non la giudica.

«Questa è la grandezza della narrativa di Flaubert, che lascia a tutti noi il compito di posizionarsi moralmente. Lui non commenta e non interviene, come fanno altri narratori dell’Ottocento, lascia alla descrizione il peso del filo della costruzione del personaggio. Sono i lettori e le lettrici che danno dei giudizi».

Con Emma Bovary Flaubert critica i romanzi d’amore.

«Critica la letteratura fatua, ma come sempre con Flaubert si viaggia su una lama di rasoio, perché questi sono romanzi che vengono pubblicati a puntate sui giornali come fa lui stesso. Però c’è una componente di aristocrazia intellettuale in Flaubert, come se dicesse: bene, io pubblico i miei romanzi sui giornali, ma siamo su tutto un altro livello rispetto ai romanzetti di avventura o di avventure rosa che incantano Emma Bovary».

Possiamo paragonare Flaubert a Cervantes che nel Chisciotte fa una parodia dei romanzi cavallereschi?

«Flaubert è molto serio anche sul potere della letteratura, compresa la letteratura popolare in grado di costruire l’immaginario e orientare la mentalità, in grado quindi di costruire sogni, ma i sogni sono sempre in rapporto con gli obiettivi concreti che ciascuno si dà».

Un potere che oggi la letteratura non ha più.

«Oggi ci sono altri media molto più potenti, anche per la facilità di accesso come i social. Leggere un romanzo di Flaubert richiede un certo impegno, viceversa qualunque messaggio sulla piattaforma social ci metti trenta secondi a leggerlo, magari te lo dimentichi, ma struttura l’immaginario. Oggi l’immaginario è strutturato dalle serie tv, dai social, molto meno dai romanzi, non parliamo poi della saggistica».

La battaglia di chi legge è una battaglia di retroguardia.

«Io immagino il mio lavoro, o quello dei narratori di successo, ma anche di minore successo, come il lavoro dei monaci benedettini che salvavano la cultura dall’arrivo dei barbari. Sembravano forme di resilienza culturale del tutto inutili, eppure non è stato così, per cui mai dire mai».

Appena Emma Bovary esce a puntate sul giornale scatta subito il processo per oscenità, occasione nella quale Flaubert esclama “Madame Bovary c'est moi”.

«Il libro esce dopo il processo ed è subito un grande successo. Non è l’unico caso di un’opera che magari rischiava di avere un successo di stima ma non un successo commerciale viene lanciato da un episodio di questo genere. Mi viene in mente Howl di Ginsberg subito dopo On the road di Kerouac. Il processo dà un lancio pubblicitario straordinario all’opera di Flaubert».

Un successo continuato con film e serie tv.

«È un romanzo, un modo di scrivere, un tipo di storia che sta su più livelli. La storia in sé può essere girata in tutti i modi. Poi c’è una tradizione critica. Se un intellettuale come Sartre dedica un libro di più di mille pagine alla biografia di Flaubert siamo di fronte a un personaggio che ha una consacrazione assoluta».

Il bovarismo diventa una categoria dello spirito.

«Il comportamento di persone dalle strutture cognitive un po’ fragili, ma al tempo stesso piene di pretese e di aspirazioni, che vanno a sbattere pesantemente contro la realtà a causa della loro incapacità di avere una visione equilibrata di sé stesse e del reale diventa un luogo comune. Cosa che Flaubert odiava profondamente».

Qual è la grandezza di Flaubert?

«Essere un anti borghese polemico, perfettamente consapevole di aver scritto un libro in cui riversa tutto il suo sentimento critico nei confronti della società borghese che gli sta intorno, senza usare gli strumenti aggressivi della polemica».—

Argomenti:cultura

Riproduzione riservata © Il Piccolo