È triestina la voce di Abby, la detective dark di Ncis

Patrizia Burul doppia l’analista forense della celebre produzione americana NCIS-Unità anticrimine, stasera su Rai2

TRIESTE Nell’universo ormai sterminato delle serie tv, l’americana «NCIS–Unità anticrimine» è una pietra miliare: la quindicesima stagione è in onda su Rai 2, questa sera alle 21.20 sarà trasmessa l’ottava puntata. Tra i personaggi più forti c’è la stravagante analista forense dallo stile goth, Abigail “Abby” Sciuto, indispensabile per la risoluzione dei casi, interpretata da Pauley Perrette. Pochi sanno però che la voce italiana di Abby è della doppiatrice triestina Patrizia Burul, che col personaggio convive da molti anni: «Dal punto di vista estetico - dice - non ho molto in comune con lei, anche se ho avuto un breve periodo dark, ma senza tatuaggi! Nonostante il look da dura, lei è molto tenera. Fa un lavoro tecnico, in laboratorio ma si muove grazie alle emozioni, è empatica, si preoccupa…».



È la voce di Abby da ben 15 anni.

«“NCIS” è una delle serie più longeve e più amate; pur essendo molto classica, in un contesto serio, d’indagine è spiritosa e ha una grande attenzione allo spessore dei personaggi e alle relazioni tra loro: DiNozzo, Abby, McGee hanno creato dei forti legami».

Un tipo molto particolare, quello interpretato dalla Perrette.

«La cosa più divertente è che lei non nasce come attrice e per questo all’inizio qualche volta era fuori luogo. In una scena dei primi episodi raccontava di una vittima che era un collega, ma parlava nel suo modo un po’ squinternato, quasi ridendo. Avrei dovuto farla seria, visto l’argomento, ma ci sarebbe stato uno scollamento tra voce e espressione. Abbiamo cercato di trovare una mediazione, allora ci siamo buttati sulla stranezza. A volte è stato difficile, Abby è colorita, nei modi più che nelle parole».

Perrette ha annunciato con un tweet che la stagione in corso sarà l’ultima per Abby.

«Così dicono, l’ho letto ma non confermo perché non ne so nulla. Stiamo doppiando e non ci sono avvisaglie, ma ci mancano ancora delle puntate. Non so se mi tengano all’oscuro o se ancora non sia certo».

Sembra che la serie stessa si avvii a un finale.

«Credo che il loro obiettivo fosse di superare un record di longevità, ma dopo 15 stagioni diventa difficile inventare cose nuove».

Come ha cominciato questo lavoro?

«A Trieste ho iniziato con il teatro, sia con la Contrada che con il Rossetti. Mi sono trasferita a Roma pensando di continuare a fare l’attrice, poi avendo dei contatti nel mondo del doppiaggio, vent’anni fa, ho deciso di provare. Ha ritmi veloci, devi andare a sync, cercare di interpretare fedelmente il personaggio e qualcuno ha l’ansia del microfono o della cuffia: ci sono attori straordinari che magari hanno difficoltà. Io forse ero portata e ho ingranato subito. È un lavoro che mi è piaciuto dall’inizio, mi sono appassionata. Ho abbandonato il teatro, senza sofferenza».

Tra i tanti film che ha doppiato?

«“Kill Bill” uno dei primi, ero emozionata. Mi è piaciuto molto fare il film su Ray Charles, il regista stesso aveva scelto le voci dei doppiatori. E di recente “Inferno”, tratto dal libro di Dan Brown».

E serie tv?

«Sono molto nominata per “Lost”, in realtà è stato un personaggio che è durato pochissimo, seppure importante nell’economia della serie. Sono più affezionata ad altri, per esempio la protagonista della serie francese “Insieme appassionatamente”, secondo me bellissima».

Come ci si approccia a un personaggio?

«Il direttore ti spiega la cifra stilistica della serie e il personaggio, ti fa vedere una scena. Per riuscire a renderlo meglio è necessario osservarlo, non tanto a livello vocale ma come si muove, fondamentale è seguire il respiro».

Si dice che i doppiatori italiani siano molto bravi. C’è però chi, come Vincent Cassel da Fazio ha definito “un problema” il fatto che gli italiani non guardino i film in lingua originale.

«Nel film originale c’è la perfezione. Ma c’è un discorso di fruibilità, se un film in inglese può essere accessibile (ma comunque non a tutti) uno in coreano molto meno. La bravura dei doppiatori italiani è che cercano di riprodurre l’originale senza tradirlo, c’è un’attenzione nel cercare di ricostruire le atmosfere, la magia».

A un aspirante doppiatore cosa direbbe?

«È difficile entrare, bisogna avere un’ottima preparazione di base, grandi riflessi, volontà di ferro. C’è tanta concorrenza. Non so se lo consiglierei».

Da Roma come vede Trieste?

«La vedo bella. Appena posso ci torno. A me sembra che a Trieste ci sia più libertà, ci sono meno formalismi, si è meno legati alle mode ed è estremamente rilassante».

©RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo