È Gian Antonio Stella il testimonial del Manifesto sul futuro culturale dell’Istria
TRIESTE Guardare al futuro ricomponendo le divisioni e fare leva sul ricco giacimento culturale depositato nella penisola istriana, un patrimonio di storia, arte e cultura da far conoscere e valorizzare. Nel Manifesto elaborato dal Circolo Istria a margine del convegno dello scorso ottobre ‘Italiani dell’Adriatico orientale: un progetto per il futuro’, i cui atti sono stati presentati ieri, circola aria nuova, un borino frizzante che nelle intenzioni dei promotori vuole legare assieme tanti aspetti. Quello normativo, con la richiesta di leggi di tutela sia per la comunità italiana in Slovenia e Croazia che per gli esuli, e quello culturale, laddove l’indennizzo dei beni abbandonati possa passare anche attraverso l’incentivo ad avviare iniziative economiche che valorizzino le peculiarità del territorio nei suoi aspetti storico-artistici.
Proposte che, per non rimanere inespresse, reclamano attenzione e ascolto. E qualcuno che possa amplificarle, portarle su un palcoscenico più vasto. Gian Antonio Stella, scrittore e firma del Corriere della Sera, ha accolto ben volentieri l’appello del Circolo Istria. «Questa regione ha una storia millenaria fatta di mescolanze di culture e idiomi e su quella falsariga bisogna proseguire, o meglio riannodare un filo che si è spezzato» è il suo pensiero. «Sgombriamo il campo dai falsi miti - dice Stella - l’Istria e la Dalmazia hanno una cultura varia, molteplice, ricca di radici diverse che non è facile riassumere, anzi è impossibile».
Stella ricorda Fulvio Tomizza, che sentiva di appartenere ugualmente al mondo italiano e a quello slavo. «Qual era la patria di Tomizza, ha senso parlare di una patria sola? Joseph Roth, l'autore della ‘Cripta dei Cappuccini’ - ragiona il giornalista - nato in Galizia, ebreo di cultura e di religione, era un cittadino austro-ungarico di lingua tedesca che quando i nazisti invasero l'Austria emigrò a Parigi». Quale era allora la patria di Roth? Nessuna o meglio tutte assieme, e quindi quella europea. È il destino di chi nasce in un territorio così ricco di diversità, riflette Stella. «Magris lo ha spiegato, la patria è come una matrioska, una più grande ne contiene una più piccola». Contaminazioni e diversità sono il portato di storie diverse e complesse che bisogna saper ricostruire con il rigore dello storico. Come ha fatto Raoul Pupo nel vademecum sul Giorno del ricordo, contro il quale si è scagliata, afferma il giornalista, l’assurda iniziativa del Consiglio regionale.
Parole che trovano sponda in Livio Dorigo presidente del Circolo Istria. «Abbiamo bisogno di una storia di tesi concordate, come diceva Leo Valiani, sulla quale costruire il futuro dell’Istria». Quel territorio che Cassiodoro ha descritto come una perla del Mediterraneo e che ora bisogna sforzarsi di far conoscere. Le potenzialità ci sono tutte, l'Arena di Pola il tempio di Augusto, le ville romane, Bisogna stimolare l’economia a investire. Dorigo ha un progetto in testa. Un’azienda agricola che accolga giovani che arrivano dall’Italia cui illustrare le caratteristiche tipiche delle eccellenze istriane, come il vino, l'olio, il formaggio.
L’idea di futuro non può non tenere in conto i giovani. Se la cultura è il motore, il propellente per valorizzare la presenza degli italiani in Istria è l'istruzione. Lo ricorda Ezio Giuricin, giornalista, tra i promotori del Manifesto, che ribadisce come sia fondamentale un provveditorato autonomo per il sistema scolastico.
Una struttura, gestita dalla minoranza, in grado di definire con maggiore indipendenza i programmi di studio e la selezione degli insegnanti, da formare principalmente in Italia. Per portare la presenza viva della cultura e della lingua italiane negli istituti scolastici della minoranza, che devono continuare ad essere aperti alla società, ma con la caratteristica fondamentale di essere scuole in grado di formare il senso di appartenenza ad una comunità. —
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