Dalle bombe di Zara alle pistole di Sartana: Gianni Garko scrive il film della sua vita

L’attore ha compiuto 85 anni e si appresta a dare alle stampe l’autobiografia. Storia di esule diventato star degli spaghetti western 

TRIESTE «Prima che il sole tramonti, voglio fare un bagno nel sangue! ». Così gridava invocando vendetta sotto il sole infuocato del West il pistolero Sartana nel film “1. 000 dollari sul nero”. Ad interpretarlo l’attore zaratino Gianni Garcovich in arte Gianni Garko, che in pieno Covid ha festeggiato i suoi 85 anni.

Ormai entrato nell’Olimpo degli eroi dell’western all’italiana, Sartana nel 2021 “compirà” 55 anni dalla sua prima uscita cinematografica. Il suo nome si deve ad un gioco di parole del suo ideatore, Vittorio Salerno, che fuse assieme i nomi del filosofo Jean Paul Sartre, del generale messicano Santa Ana, di Satana e del frutto più amato, l’ananas. Feroce quanto folle, grazie al fascino di Gianni Garko, Sartana divenne in poco tempo un’icona del cinema internazionale e per l’attore un grandissimo successo. «In quel film – spiega Garko – Sartana era una sorta di pazzoide scatenato, l’antagonista dell’eroe interpretato da Anthony Steffen. Ma fu tale il successo di questo personaggio che il mio nome fu messo in cartellone sotto il titolo».

Come è cominciata la sua avventura nel western all’italiana?

«Avevo concluso una grande tournée internazionale con il Piccolo di Milano – risponde Gargovich/Garko –; avevamo portato in scena “Le baruffe chiozzotte” con la regia di Strehler. Mi ero fatto fare dal grande fotografo Pietro Pascuttini (discendente di una nobile famiglia friulana) delle foto con un plaid indossato come un poncho. Grazie a quegli scatti mi chiamarono per interpretare “1. 000 dollari sul nero”. Grazie al successo di questa pellicola iniziai a fare molti altri western. Ma questo personaggio riscosse talmente tanti consensi, specie in Germania, che in seguito mi proposero di interpretarlo come protagonista. Ancora adesso ricevo lettere e messaggi da tutto il mondo per la serie di film fatti nei panni di Sartana: è rimasto nella storia del western».

Dove giravate?

«I villaggi western venivano costruiti intorno a Roma. È un peccato che non siano stati poi conservati come è accaduto in altri paesi. Gli esterni in particolare li giravamo nelle cave della Magliana. Poi per altri film abbiamo girato anche negli altopiani dell’Abruzzo e qualche volta nel deserto dell’Almeria».

Sartana era famoso per il suo cavallo bianco e la velocità con le pistole.

«In questi film dovevamo stare per ore sempre in sella. Per fortuna, come Giuliano Gemma e Franco Nero, prima dei western avevo girato film storici, dove avevo imparato ad andare a cavallo. Così per me è stato facile. Per imparare ad estrarre velocemente la pistola invece mi allenavo in continuazione. Alla fine ero diventato talmente bravo che quando nel film mi disarmavano, riuscivo senza trucchi a far uscire le mie pistole dei foderi della giacca, a impugnarle e a sparare al volo».

Quest’anno ricorrono i cento anni del Trattato di Rapallo, in cui Zara e parte dell’Istria divennero italiane. Cosa si ricorda della sua vita a Zara?

«Ho vissuto la mia infanzia in un periodo di guerre, molto difficile. Sono rimasto a Zara fino a 13 anni. Ricordo ancora nel’43 quando cominciò ad essere bombardata. La mia famiglia non se ne andò subito. Con i Cecconi, altri zaratini di cui eravamo amici, a bordo del piroscafo Sansego ci spostammo a Lussingrande, per poi ritornare a Zara nel’45, dove trovammo i partigiani jugoslavi. Riuscimmo a raggiungere l’Italia solo nel’48. Mio padre era un tecnico delle fabbriche di reti da pesca, così per fortuna trovò sempre facilmente lavoro ovunque. Come esuli raggiungemmo prima Trieste, poi Venezia e successivamente Chioggia, per trasferirci infine a S. Giovanni di Duino».

È più tornato a Zara?

«Dopo trent’anni. Pensavo di non emozionarmi, invece quando dal piroscafo ho intravisto il profilo del campanile della cattedrale di Sant’Anastasia sono scoppiato in un pianto a dirotto. Da allora ci sono stato altre volte. Nell’Isola Lunga, Dugi Otok, dove ha origine la mia famiglia, ho voluto portare le ceneri dei miei genitori. In questo periodo sto scrivendo la mia autobiografia, dove sto raccogliendo anche tutte le memorie legate a Zara. Si intitolerà “Il film della nostra vita”. In copertina voglio metterci un grande faro assaltato dalle onde, come quello di Veli Rat nell’Isola Lunga».

Lei è molto legato anche Trieste.

«A Trieste ho fatto l’università e poi la scuola del Teatro Nuovo come attore. Il mio piede nel cinema l’ho messo proprio partendo da Trieste, perché uno storico fotografo della città, Cerretti, mise una mia foto nella bacheca che si affacciava sul Corso: un regista di Roma la vide e mi chiamò a Cinecittà per dei provini insieme all’attrice triestina Federica Ranchi».

Progetti post pandemia?

«Con il Covid tutto si è fermato. Mi avevano proposto un film horror, “L’orafo”, con la sceneggiatura di Germano Tarricone. Al cinema ho fatto tutti i generi, ma a parte “La notte dei diavoli” con Agostina Belli, tratto da una novella di Tolstoj, di horror non ne ho mai fatti. Mi sarebbe proprio piaciuto recitare in una storia horror».

Che personaggi ama interpretare?

«In genere preferisco gli antagonisti perché sono più complessi e tormentati. In teatro vorrei tanto riprendere “L’esorcista” che ho fatto nel 2019, ma anche il monologo “Una voce dall’inferno”, che è la storia di un vecchio attore, mi prende davvero tanto». –


 

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