Dalla Risiera a Struthof Italia e Francia alle prese con il difficile passato

In “La memoria dei campi” (Giuntina) Chiara Becattini

analizza il ruolo sociale e politico di quattro luoghi simbolo

Paolo Marcolin

TRIESTE. Prendere in esame quattro campi di concentramento, la Risiera di San Sabba e Fossoli in Italia, Drancy e Natzweiler - Struthof in Francia, come fossero dei palinsesti del passato. Ovvero veri e propri paesaggi sui quali è possibile condurre un’analisi comparata delle strategie di espressione e della stratificazione di memorie, nonché dei mutevoli significati del loro recupero nel presente. La ricerca della storica, documentarista e fotografa Chiara Becattini (‘La memoria dei campi’ , Giuntina, 379 pagg., 18 euro) mira a mettere in luce le diverse politiche della memoria elaborate da Italia e Francia per il recupero e la valorizzazione di quattro luoghi simbolo della deportazione razziale e politica. Drancy alla periferia di Parigi, Natzweiler - Struthof in Alsazia e quello di Fossoli, nella campagna modenese, sono stati principalmente campi di transito verso i forni crematori; la Risiera di San Sabba ha rivestito questa funzione, ma è stata anche un campo di detenzione per oppositori politici e partigiani. La Risiera e lo Struthof hanno alcuni punti in comune: entrambi i campi sono portatori di una storia complessa, situati come erano in regioni, Venezia Giulia e Alsazia, che hanno vissuto destini separati rispetto al resto del territorio nazionale durante la seconda guerra mondiale. La memoria nazionale li ha dapprima ricompresi nell’epopea della Resistenza, riconoscendo più tardi la loro importanza nel quadro dello sterminio degli ebrei d’Europa. Soltanto recentemente i due luoghi sono divenuti punti di riferimento del complesso universo di memorie che custodiscono, grazie ai nuovi allestimenti museali inaugurati nel 2005 allo Struthof e nel 2016 alla Risiera. Fossoli e Drancy sono stati invece campi di transito per ebrei, simbolo della complicità con l’occupante nazista e del sostegno al progetto di sterminio. Il recupero della loro memoria è giunto tardi, nonostante fossero tappe fondamentali nel meccanismo della deportazione: le baracche di Fossoli sono state oggetto di un restauro solo nel 2001, mentre a Drancy appena nel 2012 è stato aperto un percorso didattico. Lo studio di Becattini si propone di de-sacralizzare questi templi della memoria, rintracciando i momenti in cui le prime voci sulla loro storia e memoria hanno iniziato a circolare. Benché fatti di pietra, i memoriali riflettono i cambiamenti politici e sociali, che mutano il loro significato e aprono a nuove interpretazioni del passato. Per questo nel tempo il paesaggio di questi luoghi è cambiato ed è stato possibile recuperare e rappresentare nuove memorie e, più di recente, allestire nuovi percorsi storici e didattici. Oltre allo studio specifico sui quattro campi, Becattini ripercorre le fasi che hanno segnato il mutare della percezione politica e sociale nei confronti della deportazione. Così nell’immediato dopoguerra ci si concentrava solo sui campi tedeschi, e in Italia la volontà di lasciarsi alle spalle il dolore che la guerra aveva causato andava di pari passo con alla frettolosità con la quale veniva formulato il giudizio sul Ventennio mussoliniano. Che, come Vichy per il caso francese, era visto come una parentesi nella storia d’Italia. Una prima svolta nelle politiche della memoria dei due paesi avviene tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, quando nel 1957 al cinema Alain Resnais propone le immagini dei campi di concentramento in ‘Nuit e Brouillard’, mentre nel 1961 esce l’edizione francese di ‘Se questo è un uomo’. A partire dagli anni Ottanta vengono portati nei tribunali francesi alcuni criminali di guerra e alti funzionari di Vichy che avevano collaborato alla ‘soluzione finale’, mentre in Italia ad essere perseguiti giudiziariamente erano stati soltanto pochi gerarchi nazisti. Uno dei quali, Priebke, appena nel 1995. Le colpe di cui anche gli italiani si erano macchiati in guerra avevano impedito di portare a processo i criminali tedeschi. Una simmetrica real politik di cui fece le spese anche la Risiera, che divenne un monumento nazionale prima ancora che fosse avviato il processo contro i suoi criminali. Nel capitolo dedicato alla Risiera, Becattini ripercorre le testimonianze, dai diari di Diego de Henriquez scampati all’incendio in cui morì il collezionista, alle prime voci di chi vi fu rinchiuso raccolte dal giornalista Albin Bubnic e pubblicate sul Primorski Dnevnik nel 1965, come si vede molto prima che fosse avviato il processo. La studiosa prende in esame quindi la storiografia sulla Risiera, il cui primo saggio, firmato da Carlo Schiffrer, risale al 1961. Molte pagine sono dedicate al concorso per la monumentalizzazione del sito e al progetto vincente di Romano Boico, intitolato ‘Assurdo’, che voleva elevare ‘lo squallore del luogo a monumento’. Riguardo il nuovo allestimento museale del 2016, Becattini nota come abbia il pregio di chiarire la storia del luogo e delle sue trasformazioni, rendendo il visitatore consapevole della struttura in cui si trova, ed esponga alcune questioni ancora aperte per la ricerca storica: il numero delle vittime, l’esatta collocazione del forno crematorio, l’elenco totale dei deportati. —

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