Da Rigoni Stern a Cognetti e Orengo. Ecco i racconti della montagna incantata
La montagna vista dagli scrittori: è la collana, intitolata “Storie di montagna”, che da domani proporrà tutti i sabati, con questo giornale e per 9,90 euro in più, venti opere legate al mondo delle terre alte.
Si comincia con Paolo Cognetti, “Il ragazzo selvatico”, diario-testimonianza di un anno vissuto nei luoghi dell’infanzia, lontano dalla città e dalla tecnologia. Si prosegue, nella seconda uscita, con Mauro Corona (“Le voci del bosco”), libro nel quale gli alberi diventano protagonisti: a ogni specie lo scrittore di Erto, ormai diventato personaggio televisivo, abbina una personalità: «Oltre alla nobiltà, all’invidia, alla povertà e alla serietà, nel bosco c’è anche la cattiveria. Tra gli alberi esiste la cattiveria dell’arroganza, del tradimento, dell’astio, quella taciturna (la peggiore) e tante altre, come tra gli uomini, del resto».
Dopo il thriller di Ilaria Tuti (“Fiori sopra l’inferno”), nel quarto appuntamento entra in scena un fuoriclasse, Dino Buzzati, che in “Bàrnabo delle montagne” – diventato gran bel film grazie al regista Mario Brenta (scuola Ermanno Olmi) – racconta le Dolomiti fiabesche di un giovane guardaboschi alle prese con i briganti e con la propria vocazione per le cime: «Si era rifugiato nella campagna, nella grassa pianura, e forse gli toccava di consumare la vita, pigramente, in un’inutile attesa... cercava qualcosa che ricordasse le montagne. Osservava persino i muri delle case confrontandole mentalmente con le grandi pareti. Stava dei minuti a contemplare dei sassi raccolti per terra che ingrandiva facilmente con la fantasia e sui quali immaginava difficilissime vie di salita».
Irene Borgna, ne “Il pastore di stambecchi. Una vita fuori traccia”, ha raccolto la preziosa testimonianza di un uomo d’altri tempi, Louis Oreiller, vita piena e appartata nella piccola valle valdostana di Rhêmes-Notre-Dame, classe 1934, che si definisce un vecchio stambecco e non ha mai smesso di immaginare un futuro per le sue montagne: «La montagna mi ha visto nascere, mi ha nutrito, insegnato, curato. Così sono diventato il signore delle cenge rocciose, la sentinella dei valichi secondari e l’esperto delle morene nascoste: ho regnato su quel reame di sassi non perché era mio – ma perché gli appartenevo. La montagna mi ha concesso di starle insieme e io sono diventato il suo custode rispettoso, un pastore di stambecchi in tutte le stagioni».
Dopo Marco Vichi (“Il brigante”), ecco un altro maestro, che quest’anno avrebbe compiuto cent’anni: di Mario Rigoni Stern uscirà “Le stagioni di Giacomo”, storia di una famiglia e di un “recuperante” di residui bellici tra le due guerre mondiali. «Il mio più grande capolavoro? – disse il Vecio con la nota cristallina semplicità – Aver riportato i miei uomini a casa». Parliamo, naturalmente, della ritirata di Russia.
La poetica concretezza di mario Rigoni Stern traspare sempre nelle sue pagine, basti pensare all’incipit de Il sergente nella neve, che chiama in causa i sensi: «Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso provo il terrore di quella mattina di gennaio quando la Katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò addosso le sue settantadue bombarde». Per Rigoni Stern la montagna non è solo palcoscenico, fondale di cartapesta, abito firmato utile solo come unagriffe: è sostanza – come chiedeva Calvino – vita vissuta e simbolo.
Il resto della collana? Tutto da scoprire, da attendere, puntata dopo puntata, avanzando tra le pagine come tra le pieghe delle valli di montagna: Nico Orengo (“Di viole e liquirizia”), Carlo Sgorlon (“Il trono di legno”), Sebastiano Vassalli (“Le due chiese”) e Lalla Romano (“Pralève e altri racconti di montagna”), insieme di brevi storie nelle quali pittura e scrittura si mescolano in delicata tavolozza narrativa. “I Monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi” dice Johann Wolfgang von Goethe. Qui, invece, la parola legata alle terre alte, si fa appuntamento e consuetudine e accompagnerà per venti weekend i nostri lettori. –
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