Cento anni fa le barricate di San Giacomo: cronaca di una rivolta popolare antifascista

TRIESTE a nuova tattica di aggressione politica usata dai fascisti divenne lo strumento della reazione antisocialista, diretta contro il movimento operaio. Ma i dirigenti del Partito Socialista non avevano compreso la gravità di quanto era accaduto al Narodni Dom né si rendevano conto della minaccia incombente sulle loro organizzazioni.
Nel 1919 iniziava un processo di ristrutturazione del movimento operaio, ancora privo di un solido apparato organizzativo. I fascisti, foraggiati dagli industriali, nell’agosto 1920 fondavano a Trieste la Camera del Lavoro Italiana per rompere il fronte sindacale unitario, facendo assumere nei cantieri operai non qualificati, provenienti dal Sud e dal Carso triestino. Durante la vertenza scoppiata tra dirigenti e operai di Monfalcone, gli squadristi irruppero sui posti di lavoro provocando incidenti. Dopo un acceso confronto, le organizzazioni sindacali e politiche del socialismo triestino deliberavano lo sciopero generale nelle fabbriche del Nord. Nei centri industriali, la manifestazione operaia riusciva a mietere un parziale ed effimero successo per la neutralità del governo Giolitti e l’incertezza di Mussolini, mentre a Trieste il Sindacato giallo e il fascio lanciavano subito all’attacco le loro squadre d’azione, sostenute dagli apparati repressivi e di controllo di cui era dotato il regime d’occupazione della Venezia Giulia. L’intento degli scioperanti socialisti e repubblicani era proprio quello di far cessare l’occupazione che, a quasi due anni dalla fine della guerra, turbava il normale svolgimento della vita civile. Lo sciopero a Trieste fu massiccio e vi aderirono anche i marittimi e il partito repubblicano.
Quel successo infastidì molto i fascisti che il 6 settembre decisero di passare all’attacco: radunatisi nei pressi della Camera del Lavoro in via Pondares, provocarono gli operai. Ne nacque una rissa, aggravata dall’intervento dell’esercito che si mise a sparare uccidendo il socialista Forgiani, tappezziere sedicenne. Nello stesso giorno le forze dell’ordine arrestarono il segretario della Camera del Lavoro Malatesta e altri due attivisti. Seguirono una perquisizione e una devastazione della sede. Il giorno 7 squadre fasciste, spalleggiate da carabinieri e guardie regie, scorrazzano per la città, malmenando a caso. Il vice-governatore Crispo Moncada assicura ai socialisti di volersi adoperare per por fine alle violenze. A quel punto il Partito Socialista e i Sindacati decidono di sospendere lo sciopero.
L’8 settembre il lavoro riprende in parte, in un clima di grande tensione. Nel pomeriggio hanno luogo i funerali di Forgioni, cui partecipano – scrive Il Piccolo – 15.000 persone. Quando il feretro, proveniente da San Giacomo, imbocca via dell’Istria, parte una furiosa sparatoria. Il corteo prosegue fino al cimitero, ma le guardie regie continuano a inseguire gli operai fino alla fossa, sparando fra le tombe. Chi è raggiunto viene picchiato e tratto in arresto. L’Emancipazione informa che nella sparatoria ha perso la vita il marittimo socialista Stefano De Radio. La tensione sale: “Intanto giungevano a tutta velocità camion carichi di carabinieri e guardie, che si misero a sparare all’impazzata contro la gente, le finestre, ovunque. Dalle vie laterali al piazzale, dalle case si rispondeva con sassate, pezzi di legno, ferro, con tutto ciò che capitava; si abbatterono gli alberi, si tentò di innalzare barricate. Un’esplosione di rabbia collettiva impressionante… Una guardia regia che transitava sul tram venne trascinata giù e linciata da un gruppo di donne, che piangevano e urlavano di rabbia”.
L’esasperazione degli abitanti di San Giacomo è al colmo e lo sciopero riprende; gli abitanti del rione erigono una specie di barricata con un carro rovesciato, bidoni per l’immondizia, qualche grossa pietra e altri oggetti. Sulla platea del carro un ritratto di Lenin e una tricromia rappresentante un corteo di lavoratori. Neanche un adulto tra i barricaderi. Erano in casa o nella città bassa a battersi con i fascisti.
Dopo due giorni di calma apperente, Tiberio, giornalista de Il Lavoratore, dall’uscita della galleria Sandrinelli, assiste a un insolito spettacolo: “… Un generale, circondato da uno stuolo di ufficiali, teneva in mano una carta spiegata (probabilmente la pianta della città) e impartiva ordini. In via Silvio Pellico l’intera brigata Sassari, in tenuta da combattimento. Più indietro un pezzo d’artiglieria da montagna. Il generale parlò a lungo… poi tutto l’apparato si mise in moto, penetrando nella galleria. Davanti il pezzo d’artiglieria, dietro la fanteria inquadrata”. Dalla via Bramante udì il primo colpo di cannone, cui seguono altri due. In Campo S. Giacomo si constatò che le cannonate avevano sbrecciato l’angolo di una casa.
Dopo le cannonate militari, carabinieri, guardie regie e squadristi irruppero in tutte le case del rione; perquisirono, devastarono e maltrattarono gli inquilini. Il ritrovamento di armi risultò falso. Ciò non impedì ai fascisti di trarne vanto, mentre la stampa nazionalista di tutta Italia diffondeva particolari sensazionalisti sulle giornate campali di San Giacomo, definite da alcuni giornali come la casbah di Trieste. Ciò doveva servire ad alimentare la tesi di una Trieste covo di ribelli slavo-comunisti.
Sui fatti di San Giacomo l’Agenzia Stefani, collegata alla redazione de Il Piccolo, emanava uno scarno comunicato: “Ieri sera i dimostranti, in gran parte slavi, hanno eretto barricate nel rione di San Giacomo. La fanteria le distrusse rapidamente. Durante gli scontri pare siano state uccise 3 persone. Sono stati fatti 100 arresti”.
In quelle drammatiche giornate i morti superarono la decina. Tra di essi il giovane antifascista muggesano Bruno Taboga, amico fraterno di Vittorio Vidali. I feriti furono più di 100.
Ai repubblicani Ercole Miani e Bruno Tommasini, in quei giorni a Fiume con D’Annunzio, così scriveva, il 7 settembre, Gabriele Foschiatti: “Carissimi Bruno e Ercole, non credete alle balle interessate, che saranno giunte a Fiume circa lo sciopero… Nel direttorio dello sciopero ci sono parecchi repubblicani ai quali i socialisti hanno chiesto aiuto. Lo sciopero è scoppiato per i madornali errori del governo e le provocazioni dei fascisti… Questo gioco conduce il paese alla rovina, finisce per far maledire il tricolore e l’Italia a quei pochi che ancora le rimangono fedeli”.
I fatti di San Giacomo furono una sollevazione popolare spontanea, fallita sin dagli inizi per mancanza di direzione politica. Di conseguenza le masse popolari si orientarono sempre più verso la creazione di un organismo in grado di contrastare l’offensiva fascista e padronale.
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