Carlo Rovelli: «Nei buchi neri il segreto della felicità»

L’autore delle “Sette brevi lezioni di fisica” a Trieste il 26 ottobre per tenere una conferenza aperta al pubblico alla Sissa
Carlo Rovelli
Carlo Rovelli

TRIESTE Si possono capire le rivoluzionarie teorie della fisica moderna senza essere degli scienziati? Certo, è la risposta di Carlo Rovelli, fisico teorico che ha conquistato la fama mondiale con i suoi lavori nel campo della gravità quantistica. Il suo ultimo libro "Sette brevi lezioni di fisica" (Adelphi, pagg. 88, Euro 10,00) che è stato un caso editoriale nel mondo, ha occupato i primi posti delle classifiche internazionali superando qualsiasi romanzo e mostrando a milioni di lettori la folgorante bellezza delle teorie scientifiche.

Mercoledì 26 ottobre Rovelli sarà ospite alla Sissa di Trieste per una lezione aperta al pubblico (alle 16.30 nell’aula magna) dal titolo "Dentro i buchi neri".

«I buchi neri sono degli oggetti stranissimi» spiega Rovelli che alla Sissa ha iniziato la sua attività di ricerca. «Sono molto lontani da tutti gli oggetti della nostra intuizione e attorno a loro succedono fenomeni molto curiosi, ad esempio il tempo rallenta tantissimo avvicinandoci a un buco nero, le cose entrano e non le vediamo mai uscire. Fino a pochi anni fa erano solo ipotesi teoriche, adesso ne abbiamo visti tantissimi e di tutti i tipi, ma ancora non abbiamo una teoria per descrivere cosa succede al loro interno».

Uno degli interessi più recenti della fisica è quello per le onde gravitazionali, perché si studiano?

«Sono un nuovo telescopio per guardare il cielo. Fino a ora tutto quello che sapevamo dell'universo lo sapevamo dalle onde elettromagnetiche. Le onde gravitazionali sono di altro tipo, e ci forniscono un canale completamente nuovo. Il primo segnale è stato ricevuto l'anno scorso e arrivava da due grossi buchi neri che si sono scontrati, erano molto vicini ma poiché non producono luce erano invisibili. Le onde gravitazionali ci hanno permesso di scoprire che esistono buchi neri molto più grandi di quanto ci immaginavamo».

Cambierà la nostra idea dell'universo?

«Probabilmente sì. Davanti all'universo l'umanità si trova al livello di conoscenza di un bambino, ma le nostre informazioni si stanno arricchendo moltissimo e con rapidità».

Perché la fisica moderna ci sembra controintuitiva?

«Perché ci siamo evoluti e abbiamo sviluppato il nostro modo di percepire e pensare il mondo per vivere nella savana, scappare dai leoni, correre dietro alle gazzelle. La fisica si occupa di cose che sono o più vaste, o più piccole, o più precise, e non sono viste direttamente da noi. Nella nostra evoluzione non ci serviva a niente vedere gli atomi o le galassie. Però siamo curiosi e non possiamo fare a meno di esplorare ciò che non conosciamo».

I bambini amano giocare con i numeri, ma poi le materie scientifiche diventano l'incubo degli studenti…

«Per anni l'insegnamento scientifico è stato poco valorizzato nella scuola italiana. Non credo sia un problema di metodo, per essere un bravo insegnante basta essere appassionato alla tua materia, ma spesso gli insegnanti sono affaticati. Se dovessi dare un consiglio per risolvere il problema di quanto poco la scuola invoglia alla cultura, direi trattate meglio gli insegnanti».

Lei parla della "bellezza" delle teorie, quanto conta. la dimensione estetica nella scienza?

«È tutto lì. È il motivo per cui il sapere ci affascina. Aristotele diceva che la filosofia nasce dalla meraviglia, e penso che la maggior parte dei fisici vedano quello che fanno essenzialmente come una cosa molto bella. Bella non in modo astratto, ma come per un bambino è bello andare a giocare».

È sempre stato affascinato dalla fisica?

«Non sono stato un bambino amante della matematica, tutt'altro. E al liceo non ero particolarmente bravo in fisica. Al momento della scelta dell'università ero abbastanza confuso. È stato tardi, verso il terzo anno, studiando la fisica moderna che ho detto: che meraviglia, voglio studiare queste cose infinitamente più affascinanti di tutto quello che conosco».

"Sette brevi lezioni di fisica" ha conquisto le classifiche in Italia e all'estero, è tradotto in 41 lingue. Uno straordinario successo internazionale...

«Credo che a piacere sia il fatto che il libro offre un punto di vista che non è quello un po' stantio delle religioni ufficiali né quello arido e freddo di una conoscenza che non si occupa dell'uomo. Ma mette insieme l'emozione e la bellezza, il fatto che noi siamo esseri naturali parte di questo mondo, con il sapere scientifico. Dà alle persone una chiave di lettura ragionevole per non sentirsi estranei al mondo».

Il segreto?

«Ho continuato a cancellare, a togliere tutte le cose che non servivano per capire l'idea centrale, senza voler semplificare».

Molti scrittori oggi cercano nei modelli della fisica materia narrativa, perché?

«Il rapporto tra la società e la scienza ha oscillato molte volte. Negli anni '60 quando io ero piccolo era molto positivo: si era andati sulla luna, i bambini volevano fare gli scienziati. Poi il rapporto si è incrinato e la scienza è stata messa sotto accusa, soprattutto per la paura dell'atomica, c'è stata una grande crisi di fiducia con il conseguente riaccendesi dell'irrazionalismo che porta le sue sciocche conseguenze fino ai giorni nostri, fino al parlamento. Ma ora la società si sta rendendo conto che se si maltratta la scienza ci si fa male da soli».

La scienza è quindi sempre positiva?

«Prendiamo un problema come quello del riscaldamento climatico, può darsi che degli sviluppi scientifici abbiano contribuito a causarlo, però le catastrofi ecologiche ci sono sempre state e se non abbiamo un modo scientifico per affrontarle facciamo molto peggio. Non è che i Maya, che sono morti per catastrofi ecologiche e non conoscevano la scienza, abbiano fatto meglio, sono morti tutti. La scienza è uno strumento imperfetto e limitato, ma è il migliore che abbiamo per affrontare i problemi e credo che la gente se ne stia accorgendo».

La scienza sta cambiando?

«È diventata più umile, nessuno crede più che risolva tutto. Ma è anche più coraggiosa, ha iniziato a indagare quei territori che una volta erano appannaggio esclusivo dei saperi umanistici, come la coscienza, il libero arbitrio, i sentimenti».

Lei scrive che "il genio esita". Qual è il ruolo dell'errore nella ricerca scientifica?

«L'errore è sempre creativo. I grandi scienziati sono anche quelli che hanno sbagliato di più. Einstein ha detto una quantità di stupidaggini, molte delle quali le ha corrette da solo, altre invece non le ha mai capite. Perché? Provava in ogni direzione. La scienza è non avere paura di fare errori, perché è di per sé un processo che li corregge. In altri campi sbagliare può avere conseguenze irreversibili, nella scienza l'errore è libertà di pensiero».

Consiglierebbe a un giovane ricercatore si stare in Italia?

«Consiglierei all'Italia di far venire i bravi scienziati, cosa che non fa nonostante i grandi proclami. Ai giovani direi di andare in giro per il mondo. Abbiamo un'ottima scienza, ma la ricerca e l'università sono state soffocate: risparmiamo due lire, ma ci impoveriamo».

Raccontando la biografia di Einstein lei ci ricorda che «se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte»...

«Nella mia vita il tempo perso è stato decisivo. Ho perso una marea di tempo, il primo anno di università l'ho passato a fumare marijuana, ascoltare musica, poi ho viaggiato per il mondo non facendo nulla. Leggevo di tutto, le cose più strane, andavo a trovare gli amici. Poteva sembrare una perdita di tempo, ma non lo era. Per fare qualcosa di nuovo bisogna uscire dai binari, altrimenti fai quello che fanno tutti».

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